– ma sì, papà, dimmi della foto
dai, che farò ancora una volta finta di stupirmi. Farò ancora occhioni, e dondolerò la testa. Come sempre, papà. Ai tuoi racconti di giovinezza.
Con una paura in petto, un piccolo tonfo al cuore, un’interrogazione tutta scura. Io, così? anche per me, poi, anche io così?
A pescare con le mani nella sabbia dei ricordi e voltarli e rivoltarli e gettarmeli addosso come una cipria che colora il vero, l’appanna e mi fa bella.
In poltrona, col plaid sulle gambe.
– ma sì, papà, dimmi della foto
Anche se lo so, me l’hai detto mille volta che nonna. Ma sì, aveva portato la foto dal fotografo per fargli coprire quella donna, e tu, bello e giovane, tu te ne restavi lì, di carta, abbracciato ad un fascio littorio. Lo so, lo so che ce l’aveva fatto lui, il fotografo. A matita. Che ombre! Che plasticità! Fatto proprio bene! Per cancellare quella donna. Gesummaria, diceva nonna! Una foto con unadiquelle!
Che io avevo provato a, piano piano, sì, mica te ne sei accorto! Ero ancora al liceo, avevo provato piano piano a cancellarlo quel fascio littorio per vedere com’era quest’unadiquelle. Ma andava via pure la foto, che poi ho ridisegnato tutto per bene. Non ti sei accorto, papà. Ero brava, sai? ma tu non ti accorgevi di me, allora. O almeno non te ne facevi mica accorgere se t’accorgevi di me. papà.
Ma tu, adesso, adesso
– ma sì, papà, dimmi della foto
Dimmi com’era bella Ingrid, coi capelli rossi (come mamma, per farti perdonare) Dimmi che lei non ti faceva pagare e ammicca, mentre lo dici, che sembri un ragazzo quando fai quella faccia!
Dimmi che lei non ti faceva pagare e gli ufficiali si scocciavano che tu potevi. Tutte le volte. Appena arrivato, tu, e loro dovevano aspettare, dillo, vedessi che faccia che hai.
A chi racconterò le mie glorie a novant’anni?
A chi dirò che m’ha amata un dio?
Ma tu dimmi che lei era innamorata di te, che tu giovane, tu bello, tu che la facevi godere.
– ma sì, papà, dimmi della foto
Dimmelo, ora. Ché quand’ero piccola queste cose non le dicevi. Non parlavi di questioni così. Neanche le parolacce dicevi. Magari se fossi stata un maschio. Quello che hai sempre sognato. Chissà.
Ma adesso. Adesso non c’è vergogna. Adesso mi puoi dire. Dimmi, papà. Che io sorriderò. Felice e complice.
Celebrando la nostra intimità. Finalmente.
…
…
…
(by poetella)
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Simone che scrive su "purtroppo" ha detto:
Che bello questo dialogo. Eh no: è proprio un dialogo!
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poetella ha detto:
e sì…hai ragione.
Finalmente riesco a parlare col mio papà!
E’ un dialogo davvero!
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theallamente ha detto:
che meraviglia! quante storie in questa poesia, poetella, quante vite e quanti sentimenti…
grande
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poetella ha detto:
ohhhhhhhhhhhhhhhhhhh!
ma grazie!
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frammenti ha detto:
bellissimo e struggente!
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poetella ha detto:
grazie…
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senza ha detto:
il tuo amore è commovente, e ammirevole la tua voglia di raccontare e rendere testimonianza.
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poetella ha detto:
mi voglio…perdonare di anni e anni di baruffe e indifferenza.
Ci sto riuscendo, comunque.
Meno male che ne ho avuto il tempo!
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melogrande ha detto:
Che bella, questa cosa che hai scritto.
Sarà forse perché ho una figlia…
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poetella ha detto:
grazie…sei gentile!
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memoriedalpo ha detto:
è un libro il tuo papà bello bello da tenere sempre vicino e coccolarlo
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poetella ha detto:
sì…è quello che sto facendo!
Sto recuperando terreno….
😉
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asfodelo50 ha detto:
bellissima pagina! …. commosso, davvero.. (quante cose non dette…e il tempo non me lo ha permesso…) .. ora sono io un padre lontano… non si dovrebbe attendere, poi il tempo si esaurisce. Grazie, poetella…
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poetella ha detto:
no, non si dovrebbe attendere.
(Ma forse c’è ancora tempo, no? Affrettati!)
Grazie a te, caro e a tutta l’emozione che mi dai ascoltandoti…
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