foto di poetella
S’era all’inizio di febbraio del ’69.
E lei, per la prima volta, no come le altre volte che, una speranzuccia, un sospettuccio di, o un abbaglio, magari, o un Lo vedi che pure io?
No, come le altre volte. Stavolta, per la prima volta, s’era innamorata.
A sedici anni.
E se ne andavano camminando, nel primo pomeriggio che era già buio, a febbraio, se ne andavano camminando in punta di respiro le poche volte che trovava una scusa per uscire, i compiti da Carla, le cianografie, e i fogli Fabriano Castello finiti, le scarpe dal calzolaio e una guardatina alle vetrine, le poche volte che trovava una scusa si vedevano, lui sotto casa ad aspettare le mezz’ore fumando e fumando, lui sorriso triste, bocca bella, si vedevano e camminavano.
Camminavano e parlavano e camminavano e parlavano e lui le diceva di rivoluzione, di risveglio di coscienza, le diceva di servi e di padroni, di democrazia, di libertà, le diceva di Marx e Camus e Sisifo e Prometeo, di Nietzsche e Platone e Pavese e lei, quando le diceva di Pavese, lui con quel sorriso malinconico e le spalle larghe larghe e lo sguardo infocato e pulito, quando le diceva di Pavese si sentiva spuntare la luna in petto e tramontare e spuntare ancora. Per lei.
E lei gli diceva di Maria e Robert Jordan e del grano e dello stupore e dell’amore e pensava sono tua.
Parlavano e parlavano e parlavano, fino al prato, dietro i palazzi nuovi, e lì casti, teneri, timidi s’affacciavano a quel noi che sconfina.
E non sapeva allora lei che l’avrebbe ritrovato, dopo quarant’anni.
Non sapeva come gioca, scherza, fa i dispetti, si diverte a mischiare e ribaltare e scompigliare destini la vita.
…
…
…
(by poetella)
.