(foto di poetella)

…sta provando a scrivere un altro romanzo. Una prova difficile. Vuole scrivere in prima persona…o forse in terza, non sa, ma la cosa singolare è che …sarà un uomo! Sì, il protagonista dello scritto è un uomo.

Riuscirà, poetella, nell’intento? Vedremo!

Intanto, questo l’incipit…

—————————————————————

– Bene. Questo è fatto. Qui, qui anche. E anche qui, ok. Accendiamo questa. E si esce.

Si esce. Parla da solo.(Parlo da solo)

Si guarda attorno, la mano sulla porta di casa, già sul pianerottolo. Tutto a posto. Finestra socchiusa, persiane accostate. Il crollcroll – crollcroll della lavatrice, canto solitario, nel silenzio. Niente giacca. È caldo. La chiave, chiude casa

Uno, due, tre, quattro. E ciao. 

Scende a piedi, mentre l’ascensore galleggia scivolando nella gabbia di ferro battuto, da un piano all’altro, da un piano all’altro, lento, scricchiolante. Faccio prima a piedi, pensa. Faccio prima. E fuori, sole.

                                 L’edicola. Una signora che chiede giornali coi concorsi. Quanti ne sta comprando. E cerca sul banco, cerca appesi agli stand, cerca nella vetrina dietro il banco. Rovista e cerca. Estrae, controlla, rimette a posto. Gli occhi mobili. Cerca, prende. Non finisce mai. Tutte probabilità di sicurezza. Ecco, tocca a lui, pare.  Quella sta pagando. Repubblica, grazie. Preso. Paga. Col giornale sotto braccio, adesso, sigarette in tasca. Che giornata. Che cielo. Roma. E tutto il tempo che vuole.  Davvero tutto il tempo. Almeno quest’oretta passerà. Spera. Scorrerà via come acqua verde di fiume. Quello che adesso sta guardando mentre cammina lento, quello che scorre sotto il muretto basso.

Roma è una festa di sole, il fiume che sussurra oltre i platani che tremano di foglie e foglie, grandi, stese al vento e ombreggiano la strada, le macchine parcheggiate, chi passa correndo in calzoncini corti e sudore e i suoi pensieri. Tutto all’ombra. Gli piace l’ombra. È discreta. Timida. Amabile. Amica.

                             Poche macchine a quest’ora sul lungo Tevere. Sono già tutti a lavorare. O ancora a casa. O in giro, da un’altra parte. O dove diavolo vogliono. E il fiume scorre rilassato dietro i campi da tennis, sdoc, sdoc, le palline ritmano la calma, sdoc, sdoc, e il fiume se ne frega e scorre carezzando l’argine, cantando piano.

                               Lui, veloce, il fiume se ne frega, verso il piccolo bar coi tavolini sotto il tendone verde a righe. Con le sedie di ferro battuto e i fiori freschi nei vasetti. Di campo. Ma dove andranno, per prati, a cercarli? Gran bel bar. No, piccolo bel bar. E si vede il fiume. Che se ne frega, appunto. Impara, ragazzo. Impara. Ecco, vede la tenda verde.

[…segue]