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(papà a 18 anni)
Ma dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa?
Ti ricordi? No. Tu non ricordi più niente. Quasi. Non è vero. Ricordi, invece.
Ma solo sempre la stessa cosa. Quella storia che mi racconti tutti i sabati pomeriggio. Tutti i sabati pomeriggio la prigionia, e Zonderwater, e Ingrid, coi capelli rossi. E le salsicce nell’autoclave.
E tutte quelle parole scritte a matita. Sei anni di diario. Che pure a te piaceva scrivere. Pure a te. Tutte cancellate. Via! Svanite per sempre. Come la tua memoria. Recente. Che io ti capisco, sa’?
Che c’è di bello da trattenere in questi tuoi giorni? Che fa se non ricordi cosa hai mangiato a pranzo. Che fa se non ricordi, col telefono in mano, cosa volevi dirmi. Perché m’hai chiamata. Che potresti mai dirmi adesso. Che ci sarà mai da dire, un giorno…chissà io che dirò quando…
No, non ci voglio pensare.
Ma, comunque
dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa?
Quando le gambe! Non sento più le gambe. Non ce la faccio a muoverle. Non camminerò più. Come sono ridotto! E io no! No! Ce la farai. Ed io a curarti, a coccolarti, come fossi mio figlio.
A vestirti, a spogliarti. Non t’avevo mai visto nudo, prima. A correre al tuo letto una, due, tre, quattro volte, la notte, come tanti anni fa, quando Giuli piangeva, piccolo piccolo, che non dormiva mai. A correre a massaggiarti le gambe, a massaggiarti il cuore. A portarti l’acqua con la cannuccia, che non ce la facevi a tirarti su per bere. In quell’agosto infocato. A cambiarti il letto con te sopra, piano piano. Sorridendo. A consolarti. A incoraggiarti, tu figlio e io madre.
A spronarti. A ridarti il sorriso.
Dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa?
E poi seduto sulla seggiolina dello studio, con le rotelle. E poi, finalmente a mangiare in cucina, la seggiolina come una macchinina per casa. Come un tappeto volante verso i sogni.
E poi, quella volta in piedi! Ce l’hai fatta, sei in piedi! Ce l’hai fatta! Vedi che ce l’hai fatta e a ballarti attorno, a girare come una trottola, a saltare, folletto dei tuoi giorni, allegra come un cardellino a primavera!
E quei tuoi primi passi, piano piano, appoggiato a me. come farei senza di te, dicevi. Ma io ci sono.
E poi, quella volta, solo! Uno, due, tre passi. Solo! Battiamo le mani, cantiamo, balliamo! Ce l’hai fatta!
Dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa?
Glieli abbiamo strappati alla Signora in nero tutti questi giorni! Abbiamo vinto noi, ancora noi! Dai…non ti scoraggiare. Ce la possiamo ancora fare, vedrai, papà!
Eccomi. Arrivo. A tra poco, papà mio!
…
…
…
(by poetella)
.
“tu figlio e io madre.”
Cara poetella, tu non puoi, forse, immaginare, quanto io abbia sentito questo tuo scritto a tuo padre.
In realtà, credo che tu comprenda profondamente ciò che sto provando ora.
Sei una bella persona, cara.
“Ce la possiamo ancora fare, vedrai, papà!”
Sì. Vai velocemente da lui sempre fino a quando ci sarà l’ultima corsa…
Ti abbraccio, mia cara
Con partecipazione vera
gbina
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grazie, gbina…
un bacio a te…
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scrivi belle cose SEMPRE
zzzzzzzzz….
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zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz,,,
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la tua anima migliore, capace di emozionare come poche cose ormai
un abbraccio
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un abbraccio a te, poeta!
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Le emozioni semplici e profonde esistino.
Qui da te si ritrovano.
Un bacio
gbina
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un bacio a te…anzi…due!
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esistono…
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ChetBaker – Over The Rainbow
Giusta musica anche!
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beh…
sai com’è…
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a me non è accaduto e mi è capitato di perdere mio padre ben tre volte.Com’è strana la vita e c’è stato un giorno,quello della mia laurea che ho visto mio padre distantissimo, stanchissimo e ho visto che qualcosa stava cambiando, qualcosa contro cui non potevo fare molto,come non avevo potuto oppormi prima,le altre volte.L’ho perso in venti minuti,mentro gli stringevo le mani, quasi a trattenerlo e invece era l’addio. l’ultimo.nessun treno sarebbe mai più tornato,non lo avrei mai più aspettato.
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prima o poi tutto, velocemente o lentamente, si perde…
fino alla finale, definitiva nostra perdita.
Unico scopo della vita, in fondo, non è altro che la morte
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questa volta dissento. Lo scopo non è la morte,che certo è un passo da compiere e ognuno compie solo, lo scopo è viversi comprendendo, con le pochissime capacità che abbiamo, ciò che siamo e dare di questa comprensione la possibilità di espanderla in sé anche agli altri, perché continuino anch’essi la diffusione.In questo unico modo si muore tragica-mente solo con la mente. Velleità? Può essere,ma anche tu hai compito lo stesso forzo e qui, questo scritto,ne è la prova. f
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ok, ok, ok…
viviamo comprendendo. Viviamo sforzandoci di capire…passiamo le nostre comprensioni,
tanto…
Mi pare che in tutti questi millenni, (e sì che ce ne sarebbe stato di tempo per)non è che le cose siano tanto cambiate. Mi pare.
Ci si odia, ci si contrasta, si cerca di primeggiare, si inganna, si finge, si fatica e si sbuffa…
sempre con meno grazia.
Sempre con meno disponibilità.
Sempre con meno giustizia.
O magari come sempre.
Credo io.
E allora?
Mah, lasciamo perdere, va…Meglio
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