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Guardo fuori, dietro la finestra chiusa.

È c’è tutto un gran movimento di rami.

Un cedro. Un cipresso. Tre, quattro, sono quattro, alti pini. Non ne vedo la cima.

Se ne va oltre le sette stecche di serranda abbassata.

Di lato, sulla destra, un muro di foglie. Dev’essere un rampicante che separa il mio dal balcone di qualcun altro.

Sconosciuto.

Alle mie spalle, silenzio.

 

E il vento. Un vento capriccioso, fuori. Che s’impenna, protesta, sbraita, a tratti, come un bambino che piange,

forse di sonno,  forse di fame. O di desiderio.

E non sa,

neanche lui sa perché.

 

Pare che fuori ci siano solo alberi che oscillano. Acqua che scende obliqua.

Forse perché non vedo altro.

E non sento che fruscio persistente. Nessuna voce.

 

Se non quella che, in testa, mi parla di te. Con infinita tenerezza.

Rimbalzando da un punto all’altro di questa camera in prestito.

Troppo calda. Troppo fredda.

 

Che poi penso, dopo un intero giorno d’immotivato digiunare, con quale piacere, con quanto piacere ho divorato quella striminzita, insipida cena, prima, come fosse una succulenta portata dell’Osteria di Giovanni, a Firenze, a via del Moro, mi pare. Sì, se non ricordo male.

 

E come saranno, che sapore avranno i tuoi baci tra un mese.

O forse più.

Che fame che ho. Già.

(by poetella)

sidney bechet – petite fleur

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