Scrivimi, che queste ore piccine, senza splendore, senza gloria, queste ore inginocchiate, striscianti, a guardare per terra, e attenta a come ti muovi, sa’? attenta a come ti giri,
queste ore solitarie in mezzo a mille voci, mille e mille visi, un tratturo d’elefanti, processione di formiche, mille e mille voci che non sono la tua, queste ore imprigionate in antiche scelte fatte da una me che era un’altra. Rinnegata. Scacciata dalla faccia della terra e tornata a chiedere i resti e darne,
queste ore incapsulate nella griglia dei devi qui, devi lì,
queste ore filacciose non mi passano mai, amato mio. Mai.
E allora scrivimi, via, scrivimi di te.
Dimmi, dimmi del piccolo e del grande, del sorriso e del sospiro. Dello sbadiglio e del sobbalzo, ce n’è di sobbalzi, lontano da me?
Dimmi la calma, l’attesa. Dimmi la rabbia. Le poche volte che c’è.
Scrivimi, che le parole riempiranno di te gli incavi del silenzio.
Le parole sembreranno conchiglie lasciate sulla sabbia da un mare misericordioso.
La tua voce nelle conchiglie.
Quella tua voce d’eterno ragazzo, d’eterno ragazzaccio, scroscio di sorgente.
Quella voce che anche se dice solo Ehi! Ehi! al telefono, solo se dice Ehi! è come se ogni volta,
e certamente me ne rallegro anche se temo, temo non sia una bella cosa questo mio cedimento, quest’addormentamento, questa propensione a dire vabbe’, pazienza! questo distogliere il pensiero, questo concentrarsi su tutt’altro, questo gioire, addirittura gioire di alcune, magari insignificanti piccole cose, visto il plumbago finalmente fiorito? Visto le nuove tende da sole che spettacolo? Visto come stanno bene i capelli con questa nuova piega? Che poi, in fondo…
insomma, temo non sia una bella cosa questo
accontentarsi, questo abituarsi, questo stare quieta e serena, satura, piena,
E niente registrazione. Tanto non l’ascolta nessuno
Ok, ammettilo. Non ce la fai. Ti giri e rigiri tra queste pagine di pensieri cerchi fotografie didascalie note a margine note a piè di pagina. Non ce la fai.
Riprendi tutto dall’inizio che poi ti pare pure una bella storia mica no ma mancano pezzi e certi paragrafi sono tutti scarabocchiati che non riesci a leggere più.
La fine, poi. Mai andata a curiosare nell’ultima pagina io, in cerca dell’epilogo. Mai.
Ma qualcuno, adesso, per pietà, per misericordia me lo dica, mi dica se finisce bene ‘sta storia. O male. Al solito.
Le poche cose che so di lei
che poi non mi ricordo
occorre cominciare da lontano
una distanza lunga
e gli alberi non erano gli stessi
le case non erano le stesse
ed è cambiata la buca delle lettere
il postino
la strada
la città
l’ombra di sera
(non so se si è allungata o se è più corta)
e gli aeroplani avevano le eliche
e il corridoio era lungo
quanto una passeggiata
che non so se abbiamo fatto
io non ero lo stesso
stavo
dove non mi conosco
se qualche volta appari un sogno aperto
altre un sospetto
ma non so dirti quale.
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le parole che si porta il vento, ma dove se le porterà mai se non c’è luogo, non c’è spazio che contenga, che raccolga, non c’è cuore che risponda, che domandi, che s’aspetti qualcosa dal vento o da chi sa che. Chi. Come. Dove.
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le tasche della vestaglietta di casa, senza fazzoletti che tanto che piangi a fare se qui è tutto vuoto e nessuno ascolta e nessuno placa e nessuno torna a ricucire lo strappo e nessuno medica, lenisce. Sana.
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le giornate, poca fatica, molta noia, a ricontare i giorni delle comete e delle valanghe che hanno rivoltato il mondo largo largo tondo tondo troppo grande o troppo piccolo per contenere
……………………………………………………………………. Come trattiene in se ancora il suo profumo la bottiglina dimenticata in quella borsetta che non si usa più da tanto, tantissimo tempo.
……………………………………………………………………. Come conserva i ricordi a quel profumo legati. Come ricostruisce, quasi materializza occhi, mani, movenze. Come riporta indietro. O avanti. Perché no?
……………………………………………………………………. Come ci immalinconisce. Come ci inorgoglisce. Come ci stupisce che tutto sia ancora lì, trattenuto nel vetro.
Imprigionato. Quasi che quella minuscola bottiglia col suo tappino d’argento fosse un mausoleo in miniatura.