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Poetella's Blog

~ "questo sol m'arde e questo m'innamora"- Michelangelo

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Archivi della categoria: padri e figli

Ma basta. Basta, ti prego, basta!

09 sabato Ago 2014

Posted by poetella in padri e figli, papà, pazienza, quando finisce?, ricordi, smania, solitudine, ti perdono, vecchiaia

≈ 18 commenti

Tag

fotografia, papà, Ricordi, tristezza, vecchiaia

papà ciclista(una vecchia foto di…)

Ma basta. Basta, ti prego, basta! E il lavoro a 14 anni, e la bicicletta. E il fattorino postale. E il calcio. E la chiamata alle armi. Basta.
E la classe del ’18 povera. E hanno chiamato anche quella del ’19. basta!
E poi la guerra e la prigionia. E Zonderwater. E la patente. E l’autobotte. E lo shop indiano. E le salsicce. E il carcere. E la mattina dopo il capitano che ti libera. Ché gli servivi. Per i maiali. Basta!
Tutte le settimane. Tutti i sabati dalle 17.00 alle 19.00. Basta.
Non ce la faccio più.

Tutti i sabati. E certe volte anche i mercoledì. E il lavoro a 14 anni, e la bicicletta. E il fattorino postale. E il calcio. E la chiamata alle armi. Basta.
E la classe del ’18 povera. E hanno chiamato anche quella del ’19. basta!
E poi la guerra e la prigionia. E Zonderwater. E la patente. E l’autobotte. E lo shop indiano. E le salsicce. E il carcere. E la mattina dopo il capitano che ti libera. Ché gli servivi. Per i maiali. Basta!
Parliamo un po’ d’altro, vuoi? Ma di cosa parliamo?

Te ne stai lì, sulla poltrona, ti ci metti quando arrivo, se no stai a letto.
E ricominci a raccontare.
Tutti i sabati. E certe volte, magari perché non stai tanto bene, magari c’hai la tosse, e vengo pure il mercoledì e tu, il lavoro a 14 anni, e la bicicletta. E il fattorino postale. E il calcio. E la chiamata alle armi. Basta.
E la classe del ’18 povera. E hanno chiamato anche quella del ’19. Basta!
E poi la guerra e la prigionia. E Zonderwater. E la patente. E l’autobotte. E lo shop indiano. E le salsicce. E il carcere. E la mattina dopo il capitano che ti libera. Ché gli servivi. Per i maiali. Basta!

E vuoi che i giornali pubblichino la tua storia. Gli scrivi. Non rispondono. E ti arrabbi.
La storia della tua vita. Ma no, dai! Sui giornali scrivono i giornalisti. E mbeh? La mia storia è importante. Per te, dico io, come per me! per tutti, dici tu. Balbo, l’ho visto cadere. Fuoco nemico.
Ma lo sanno tutti, dico io, ah sì? Dici te.
Ma che te lo dico a fare. Tanto ricominci.
Ricominci, anche due volte, in quelle due ore, tutti i sabati e certe volte pure i mercoledì, che mi fai pena in quella stanza, a fare niente, solo a rigirarti vecchie foto che ti scappano di mano, mi fai tanta pena ma io non ti faccio pena. Non hai pietà di me. Neanche mi guardi.
E ricominci. Tutti i sabati, e pure qualche mercoledì, il lavoro a 14 anni, e la bicicletta. E il fattorino postale. E il calcio. E la chiamata alle armi. Basta.
E la classe del ’18 povera. E hanno chiamato anche quella del ’19. basta!
E poi la guerra e la prigionia. E Zonderwater. E la patente. E l’autobotte. E lo shop indiano. E le salsicce. E il carcere. E la mattina dopo il capitano che ti libera. Ché gli servivi. Per i maiali.

Non ce la faccio più, papà.

Quanto, ancora?

…
…
…

(by poetella, stranita)

 

(e niente musica. cazzo)

 

 

.

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È adatto. Mahler è adatto a …

21 lunedì Ott 2013

Posted by poetella in autunno, figli, foto di poetella, Mahler, malattia, malinconia, musica, padri e figli, papà, pazienza, ricordi

≈ 23 commenti

1395333_10201664577328496_875119209_n(foto di poetella)

 

 

 

È adatto. Mahler è adatto a questo cielo.

Anche a te, papà. È adatto.

C’è questo morire piano piano, questo arrotolarsi attorno a un filo di luce. O di speranza. E tu cosa speri, papà? Basta, hai detto, voglio morire. Sono stanco.

Sarà vero che vuoi morire? Non credo. Lo so, lo so. Lo so che vorresti.

 

Ah, Mahler… c’è questa stanchezza nelle note. Questa stanchezza infinita, dolente, questa desolata rassegnazione. Questo cedimento continuo. Di cera sgocciolata. Molle. Di foglio di giornale sotto la pioggia. Non lo toccare che si strappa.

Non lo toccare che lo sfinisci.

 

Sei così magro, papà. Un’ombretta impalpabile. E dire che mi facevi tanta paura, da piccola.

Sei un’ombra, ma non ti passano ombre negli occhi quando racconti.

Sempre le stesse storie. No, di Zonderwater è un po’ che non lo racconti.

Adesso tocca alle fidanzate.

A quando eri bello, giovane, forte e pieno di un tracciato splendente di vita che poi hai fatto.

Ok, ok, proprio  splendente no, ma dai. Non è stata male, no?

 

Devi camminare di più papà, se no te lo scordi! Ti vengono le piaghe. È già successo. Lo so che non ti ricordi.

Non ricordi niente di poco fa, o un po’ di più.

Solo settant’anni fa. Settantacinque  anni fa.

Quando amavi. E t’amavano. Dai, racconta. Ma sì, racconta.

Di Anna, di  Maria, di Ingrid, quella che non ti faceva pagare perché s’era innamorata di te, ché tu la facevi godere.

Madonna, papà!

Non me l’avresti mai detta una cosa così, prima.

Ma tu mica racconti a me. tu racconti e basta.

Lo diresti anche al prete di Ingrid, anche al medico del pronto soccorso, a quelli della visita per il rinnovo della patente.

Anche al tassista che ti porta a fare la TAC.

Basta che racconti.

 

Di mamma che, dopo che l’è venuta la crisi mistica t’ha fatto fare voto di castità, però, mica te lo ricordi. Com’era bella mamma, dici.

Mica te lo ricordi. Che mi sa che ha trovato la scusa, lei,  della crisi mistica, ché tu eri …troppo! So’ sicura che è così.

 

Ne conosco un altro che è…troppo.

Ma per me, no. No, no. È giusto.

…

…

…

(by poetella)

 

 

 

 

Mahler  Symphony No. 4 – Karajan

 

 

 

 

.

 

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Dolcemente fingo. Ci vuole….

31 domenica Mar 2013

Posted by poetella in amore?, atmosfere magice, biografia..., diario, emozione, figli, foto mie..., padri e figli, papà

≈ 4 commenti

Tag

amore, auguri, festa, papà, poesia

papà a 19 anni

(il papà di poetella a 19 anni)

 

 

Dolcemente fingo. Ci vuole.

Racconta, papà.

Dondolo tra  un Davvero? E un Bella storia! Il destino. È  stato il destino, dico. Sorrido. Sorridi e sei ancora così bello.

Fingo di non sapere di come hai conosciuto mamma

E di cosa le hai detto.

Mille e mille volte ripeschi nei ricordi.

La tua vita se ne va all’indietro.

 

Come sei stato furbo, dico.

Come eri bello!

E tu racconti, racconti.

Ti brillano le luci dell’Africa negli occhi.

Eravate 100.000 a Zonderwater.

Qualcuno sarà ancora vivo?

Nessuno come te, però, papà. Vuoi un altro po’ di arrosto?

 

E sorridi e sorrido

E Cosa hai fatto al dito, dici.

L’artrosi, dico io.

Come me, dici tu.

 

Papà. Quanto ho aspettato quel tuo Come me. Sapessi.

 

Bella festa, oggi. Sì.

 

Bella festa. E ancora auguri, papà mio.

…

…

…

(by poetella)

Sidney Bechet – Petite feur

 

 

 

 

 

 

 

 

.

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Ma no, papà, dai, lascia perdere…

26 martedì Feb 2013

Posted by poetella in basta!, consapevolezza, crescere con l'amore, diario, figli, indipendenza, le cose importanti, libertà, padri e figli, papà, poesia, quasi racconti

≈ 15 commenti

Tag

delusione, papà, politica, ti ricordi

bandierarossa

(foto dal web)

 

Ma no, papà, dai, lascia perdere.

Dimmi di zia Nena, invece. È venuta a trovarti, ieri, no? Vecchia, dici? Vecchia vecchia?

Tutta storta come un disperato ulivo di collina. Solitario.

I  capelli, neri? Ma dai! È la tinta.

Ma sì, mi ricordo che mani aveva. Belle. Suona più?  No, eh?

 

Ma no, dai, non mi va. Non mi va di parlare di politica.

Dimmi di zia. Pure io, ti ricordi che mani. Eh, adesso, pure adesso, ma va!…

 Ma sì, guarda come s’è storto l’indice. Sì, sì, altro che.

Ma dimmi, dimmi di zia. Ah, non suona più. Perché? Non la sente nessuno!

Ma che si suona per farsi sentire?

Si suona per sentire la musica che riempie la casa, che scivola per tutte le stanze, che s’arrampica sui muri ed esce in balcone e vola via, come una rondine.

 

Papà, e dai. T’ho detto che non mi va di parlarne, dai. Niente politica, si?

Poi, a che serve?

Noi non ci siamo mai, no, mai capiti. Mai stesse idee. No? Sbaglio?

Che parlo di politica, adesso? Non mi va di litigare, papà.

E poi, poi tu che ne sai di politica.

Ancora a dirmi non avrai mica votato per i comunisti?

Solo tu e qualcun altro a parlare ancora di comunisti.

 

Papà, che fai, poi? Mi sequestri ancora la radiolina?

Non ce l’ho più quella che mi sentivo in cameretta, partigiana in tono minore, nel buio della casa addormentata,  nel tepore delle mie speranze ammantate di notte e di sogni e di voglia di libertà.

Me l’ascoltavo fino a tardi tardi, mentre tu dormivi stanco del tuo primo, del tuo secondo, del tuo terzo lavoro e dell’aiuto che davi a casa a mamma e mamma, stanca d’essere stanca, dormiva il sonno della bella col principe che pensa a lei. A lei, tutti sì. Solo sì.

 

Non me la puoi più sequestrare la radiolina che, senti questa che cosacce si sente, tutte parolacce di comunisti! dicevi a mamma costernata, che prendeva il rosario come una spada, come un amuleto scaccia maligno. Via il diavolo da casa mia!

E io, piccola prigioniera politica, eroina senza esercito da guidare, senza rogo da sfidare.

 

No, papà, non mi va di parlare di politica. Oggi. Con te.

Oggi che tra noi s’è tutto acquietato, come un lago dove il mostro s’è immerso, l’acqua ha ribollito un po’ e tutto s’è ricomposto. Tutto s’è fermato.

 

E poi, papà, che parlo a fare con te che ancora dici che Lui! Lui  che vi faceva venire in Italia, giovanetti a fare le gare tra tutti giovani e belli.

Voi, dalla Libia in Italia, sulla nave, piccoli piccoli e felici! Lui grande uomo. Papà! Ma che ne sai tu?

Dimmi di Patrizia, invece. Quand’è venuta a trovarti? Ieri? L’altro ieri. Ingrassata!

Più grande di noi? Due tre anni? Ma che! Quindici giorni. Sì! Solo quindici. E  lo so che sembra più vecchia. Siamo noi che sembriamo più giovani.

Abbiamo preso da te, papà. Papà bello!

 

Lo vuoi un tè?

Stai bello calduccio con la copertina sulle gambe?

Dai, lasciamo stare la politica.

Oggi no. Non ci voglio pensare. No. Oggi no.

…

…

…

(by poetella)

 

 

Pierangelo Bertoli. Eppure soffia

 

 

 

 

 

 

.

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Ricordava benissimo come da …

29 martedì Gen 2013

Posted by poetella in attesa, biografia..., consapevolezza, crescere con l'amore, empatia, foto mie..., le cose importanti, padri e figli, pensieri sparsi, poesia, quasi racconti

≈ 30 commenti

Tag

crescere, femmina, Ricordi, toccarsi

IMG_2253

(poetella piccola)

 

Ascolta poetella

 

 

Ricordava benissimo come da bambina non tollerasse la vicinanza di altri corpi.

Foss’anche sua madre. Sua nonna, sua zia. Suo padre.

Il gatto.

Un’insofferenza. Uno sgusciar via al sospetto di un probabile contatto.

Si scostava, si contraeva cercando di ridursi di volume.

Pensava piano piano. Quasi non respirava.

 

Seduta composta su un divanetto, o nel vagone di un treno, quei vecchi treni con gli scompartimenti chiusi, lei piccola che poteva occupare anche mezzo posto, seduta si rimpiccioliva.

Scostava le mani, le gambe, le cosce. Sedeva più in  là, al limite dello spazio residuo.

Si vergognava. Vergogna o schifo?

 

Avrebbe voluto un limpido, incolmabile distacco.

Distacco.

Sterilizzazione dell’aria frapposta.

 

E vedeva cuginetti, cuginette strofinarsi addosso a nonni, zii, spalmarsi baci e braccia e gambe.

Invidiava? Difficile, adesso, dirlo. Forse.

 

Ma niente. Lei, sempre lontana. Imprendibile.

Non  sapeva, non sapeva proprio se le sarebbe piaciuto un abbraccio.

Inoltre non aveva proprio avuto modo di verificarlo.

Sua madre non l’aveva mai abbracciata. Eravate due, diceva per scusarsi. Non potevo abbracciare tutte e due. Perché no, poi?

Suo padre, non ne parliamo nemmeno.

Forse, se avesse avuto il tanto desiderato maschio, forse. O forse no. Neanche lui.

E sua nonna, sua nonna! I bambini non si abbracciano ché se no si viziano.

 

Con sua sorella faceva a botte. Da femmina, ovvio. E raramente.

Una tirata di capelli, una spinta.

Un altrettanto raro schiaffo.

Sfioramenti.

 

Il primo contatto a quattordici anni. Un ragazzo, alla sua prima festa. Ballando.

Una strana sensazione. Una voglia di serrare, fermare, trattenere. Scoprire. Trasalire.

Le era piaciuto.

Forse anche più che ai suoi cuginetti e cuginette.

Aveva scoperto di avere fame. Di corpi.

A quattordici anni.

 

Conseguenza inevitabile del prolungato digiuno. Forse.

 

Che poi, come si dice? L’appetito vien mangiando. No?

…

…

…

(by poetella)

 

 

 

 

 

 

 

.

 

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Ma dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa…

24 sabato Nov 2012

Posted by poetella in amore?, biografia..., crescere con l'amore, diario, empatia, figli, inverno, le cose importanti, padri e figli, papà, quasi racconti, speranza, vecchiaia

≈ 15 commenti

Tag

amore, papà, ti ricordi, vecchiaia

(papà a 18 anni)

 

Ma dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa?

Ti ricordi? No. Tu non ricordi più niente. Quasi. Non è vero. Ricordi, invece.

Ma solo sempre la stessa cosa. Quella storia che mi racconti tutti i sabati pomeriggio. Tutti i sabati pomeriggio la prigionia, e Zonderwater, e Ingrid, coi capelli rossi. E le salsicce nell’autoclave. 

E tutte quelle parole scritte a matita. Sei anni di diario. Che pure a te piaceva scrivere. Pure a te. Tutte cancellate. Via! Svanite per sempre. Come la tua memoria. Recente. Che io ti capisco, sa’?

Che c’è di bello da trattenere in questi tuoi giorni? Che fa se non ricordi cosa hai mangiato a pranzo. Che fa se non ricordi, col telefono in mano, cosa volevi dirmi. Perché m’hai chiamata. Che potresti mai dirmi adesso. Che ci sarà mai da dire, un giorno…chissà io che dirò quando…

No, non ci voglio pensare.

Ma, comunque

 dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa?

Quando le gambe! Non sento più le gambe. Non ce la faccio a muoverle. Non camminerò più. Come sono ridotto! E io no! No! Ce la farai. Ed io a curarti, a coccolarti, come fossi mio figlio.

A vestirti, a spogliarti. Non t’avevo mai visto nudo, prima. A correre al tuo letto una, due, tre, quattro volte, la notte, come tanti anni fa, quando Giuli piangeva, piccolo piccolo, che non dormiva mai. A correre a massaggiarti le gambe, a massaggiarti il cuore. A portarti l’acqua con la cannuccia, che non ce la facevi a tirarti su per bere. In quell’agosto infocato. A cambiarti il letto con te sopra, piano piano. Sorridendo. A consolarti. A incoraggiarti, tu figlio e io madre.

A spronarti. A ridarti il sorriso.

Dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa?

E poi seduto sulla seggiolina dello studio, con le rotelle. E poi, finalmente a mangiare in cucina, la seggiolina come una macchinina per casa. Come un tappeto volante verso i sogni.

 

E poi, quella volta in piedi! Ce l’hai fatta, sei in piedi! Ce l’hai fatta! Vedi che ce l’hai fatta e a ballarti attorno, a girare come una trottola, a saltare, folletto dei tuoi giorni, allegra come un cardellino a primavera!

E quei tuoi primi passi, piano piano, appoggiato a me. come farei senza di te, dicevi. Ma io ci sono.

E poi, quella volta, solo! Uno, due, tre passi. Solo! Battiamo le mani, cantiamo, balliamo! Ce l’hai fatta!

Dai! Ti ricordi un anno e mezzo fa?

Glieli abbiamo strappati alla Signora in nero tutti questi giorni! Abbiamo vinto noi, ancora noi! Dai…non ti scoraggiare. Ce la possiamo ancora fare, vedrai, papà!

 

Eccomi. Arrivo. A tra poco, papà mio!

…

…

…

(by poetella)

 

 

ChetBaker – Over The Rainbow

 

 

 

 

.

 

 

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sì, lo so, è colpevole…

09 martedì Ott 2012

Posted by poetella in da leggere, diario, Giuseppe Berto, le cose importanti, musica, padri e figli, poesia, silenzio

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Tag

Giuseppe Berto, grant green, Libri, old man moses

non l’avevo letto, ma…

sto rimediando

Grant Green- Old Man Moses (Let My People Go)

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Ma sì, papà, tante volte!

12 martedì Giu 2012

Posted by poetella in amore?, atmosfere magice, biografia..., crescere con l'amore, felicità, figli, mamma, padri e figli, quasi racconti, vecchiaia

≈ 8 commenti

Tag

ti ricordi

Ma sì, papà, tante volte!

Tante, tante volte. Sì, come vi siete conosciuti. Certo che me l’hai raccontato. E ti dico di sì! (gli sorride, parla forte, che se no lui non la sente) ci vuoi scrivere un articolo? Da mandare a fratel Giuseppe? No, la storia della prigionia gliel’hai già, già gliel’hai, ti dico di sì! (quasi strilla) già mandata. Ti ricordi? L’abbiamo corretta e io l’ho spedita col computer. Esce nel numero di luglio!

 

Ma sì, papà, tante volte

Tante, tante volte te l’ho detto. Ma ti ricordi che t’ho fatto vedere come viene l’articolo? Dai, papà! Quella volta che t’ho portato il computer. Non fa niente. No, papà, non fa niente che non ti ricordi. Tanto a luglio esce la rivista. Sì, a luglio, nel numero di luglio. Vedrai che bello! Tutte le foto…

Ma si, gliel’ho mandate col computer. E tu non ti preoccupare di come ho fatto! (lo guarda e sorride. Povero papà, con la memoria a scacchi, come la camicia)

E scrivilo, dai papà!

Di quel giorno d’ottobre del?(lei lo sa ma glielo fa ridire, ché è così contento!)che anno era, papà?il ’48, sì, il ’48, che nel ’50 vi siete sposati. E sì, e nel ’52 siamo nate noi. Che, ti ricordi? Quando zio t’ha telefonato, che tu stavi a Roma e mamma no? E , dice, Sono nate! Ti ricordi? NATE! Plurale femminile! Porca miseria! Niente maschio!(scuote la testa, sorride, ma lo sa che ora lui è contento di quelle due)

 E scrivilo, dai papà.

Che poi me lo dai, te lo sistemo, e lo mandiamo a fratel Giuseppe. Sì, papà! Era così bella che l’hai fermata per strada. Ti sei inventato quella cosa. Scrivilo, scrivilo, che le hai chiesto se era lei, Scusi, signorina? Ma lei era scrutatrice al seggio di via Nizza, nello scorso referendum? Che mica era vero! E lei No, no, si sbaglia, sa? Io non sono di Roma… e poi erano finiti i discorsi. E non sapevi più che inventarti per continuare a parlare con quella bella rossa, vero papà?

 

E scrivilo, dai papà.

Ci mettiamo pure quella cosa del destino, quella della bottiglia fuori della finestra la notte di S. Giovanni. Con la chiara d’uovo…Come, non te la ricordi? Non ti ricordi, papà? Ma sì che te l’ha detto, mamma! Certo!

Ma sì, papà, tante volte

 

Non te la ricordi? Adesso te la racconto. Va bene? Sì, facciamoci un goccetto d’Amaretto e te la racconto. Ok, papà?

…

…

…

(by poetella)

 

 

 

 

.

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La radio ne parlava. La tele ne parlava. I giornali…

11 mercoledì Apr 2012

Posted by poetella in attesa, biografia..., foto di poetella, indipendenza, le cose importanti, padri e figli, quasi racconti

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bob dylan blowin in the wind

 foto di poetella

 

 

La radio ne parlava. La tele ne parlava. I giornali. I compagni. Stava succedendo qualcosa.

In Francia.

E anche lì. A scuola, assemblee a raffica. Riunioni di collettivo. Le prime.

S’era alla fine di Maggio del ’68.

 

Ma lei non capiva. Non capiva, non sapeva tutto.

Non sapeva quasi niente, anzi.

 

Mai interessata alla politica. A sedici anni, altro in testa. A casa, poi, niente. Non se ne parlava. Niente politica. In casa, anzi, non si parlava proprio.

Zitta e mangia. Mettete a posto la cameretta. Fatti tutti i compiti? Quel maglione è troppo stretto.

Mangia la verdura. Tutta. Preparatevi che andiamo da nonna.

 

In casa non si parlava proprio. Solo ordini. O domande. O richieste.

E lei non sapeva. Lei stava sempre in casa o a scuola. E basta.

Non sapeva, ma sentiva un formicolio, un rimbombo da  terremoto in avvicinamento.

Il lampo, il tuono prima della tempesta. Desiderata.

Il deserto aveva sete.

 

Andava alle assemblee, in aula magna, per sentirli parlare, i compagni.

Per fare vedere che anche lei.

Con dentro una tensione, una voglia di rivolta. Tutta condensata, convogliata in quell’ascolto.

Uno sperare che finalmente. Un’allegria da giorno prima.

In quelle proteste, in quello scalmanato, accalorato gridare dalla pedana dell’aula magna, coi maglioni norvegesi e il fazzoletto rosso al collo e tutti a sentire, tutti d’accordo, tutti compagni, c’era anche la sua furia, il suo scalpitare con le catene ai polsi e alle caviglie.

 

C’era il bisogno di convincersi che forse.

C’era la sua profonda, radicata, sventolata in petto come un vessillo, la sua fiammeggiante, impulsiva, giovane ribellione al tiranno: suo padre.

 

…

…

…

(by poetella)

 

 

 

Bob Dylan – Blowin’ In The Wind

 

 

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Forse no…

09 lunedì Apr 2012

Posted by poetella in biografia..., consapevolezza, crescere con l'amore, foto di poetella, le cose importanti, padri e figli, quasi racconti

≈ 10 commenti

Tag

liceo artistico

foto di poetella

Forse no.

Forse non era stata una buona scelta. Certo se lo doveva tenere per lei.

Che glielo andava a dire a papà che forse…

Che glielo andava a dire che probabilmente, che a pensarci bene.

Poteva mai accettare che lei. Che lei non.

Poteva capitolare. Cedere. Confessare tutta la sua incapacità.

Poteva stare a sentirsi dire Te l’avevo detto!

Poteva tollerare d’essere considerata sciocca, avventata, velleitaria. Sconsiderata e incapace.

Da papà?

Che erano quattordici anni e mezzo che provava a fargli vedere quanto era brava.

Quattordici anni e mezzo ad aspettare che si accorgesse che lei.

Quattordici anni e mezzo che sperava che lui.

 

Poteva mai dirgli Papà, accidenti. Avevi ragione. No, accidenti proprio non lo poteva dire.

Che non stava bene. Dire accidenti.

Poteva mai desolatamente dire che no, non era per me questo cavolo di liceo Artistico.

Ho sbagliato. Avevi ragione tu.

No che non poteva. Impossibile.

Ma tanto.

La pagella parlava chiaro. E doveva proprio farla vedere. Farla firmare. Stare a sentire.

A testa bassa. Che lei, a testa bassa, mai.

 

Camminava verso piazza del Popolo schiacciata da una scimmia invisibile.

Ma  come pesava. Da morire pesava. Come pesava quella cinghia coi libri e in mezzo la pagella.

 

E quei voti che se l’era imparati a memoria, sperando di cancellarli. Di cambiarli. Per magia.

Ma quelli no. Stavano lì, in bella calligrafia. Tutti riccioli e curve. Plastici.

In fila come formiche rosse velenose. E qualcuna nera. Al posto sbagliato. Intrusa.

 

Italiano 8

Storia 8

Geografia astronomica 8

Fisica  7

Matematica e geometria 9

Scienze e chimica 9

Anatomia 8

Storia dell’arte 9

Ornato disegnato 4

Figura disegnata 4

Disegno geometrico 4

Plastica  ornamentale 4

Educazione fisica 8

Religione 10

 

Ecco. Aveva sbagliato scuola. Ma non avrebbe ceduto. Gliel’avrebbe fatto vedere lei che.

Bastava superare questa giornata.

Bastava arrivare a domani.

Dopodomani, magari.

O tra un altro po’.

 

Ma avrebbe vinto lei. Sicuro. O no?

…

…

…

(by poetella)

 

 

(questa biografia sta diventando un po’ troppo confidenziale, mi sa…)

 

 

Scriabin – Etude op.8 no.12

 

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segue “biografia via mail…”

06 venerdì Apr 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, Bellezza che salva, biografia..., crescere con l'amore, foto di poetella, le cose importanti, musica, padri e figli, paura di non amore, quasi racconti

≈ 14 commenti

Tag

barcarola veneziana, mendelsshon

 

 

foto di poetella

 

E poi, la musica…

La musica.

 

La signorina Maria, sempre quel profumo di Violetta di Parma e i capelli in ordine. Composta.

Alle cinque in punto, Hai studiato piccola?

Ma lei non aveva studiato. Non tanto, per lo meno. E niente solfeggio.

Che la signorina Maria se ne accorgeva e sorrideva.

Ma è brava, diceva alla mamma. Un peccato farla smettere.

Se solo studiasse un po’ di più.

Su e giù per quel Bluthner nero nero, lucido lucido, scale e scale, con quelle manine piccole e bianche.

 E l’Hanon, e il Bona di nonno Leopoldo. Con le pagine con lo scotch. Da rimettere quasi ogni mese. E le sonatine di Clementi e Il piccolo montanaro.

Ma che strazio.

Lei che voleva, avrebbe voluto suonare melodie struggenti, ballate di  follia.

Serenate impazzite di nostalgia.

Sempre sogni d’amore.

 

E invece scale e scale e fatica e noia infinita.

E le mani non andavano mai dove avrebbe voluto.

Si doveva controllarle. Guardarle brutto. Costringerle.

E gli accordi di nona. Che male.

 

Poi, finalmente, Mendelsshon.

 

E papà, seduto in poltrona, che zitto zitto, ascoltava e sorrideva.

Una volta.

Solo una volta.

Ma era bastato.

 

E quella Barcarola suonata e risuonata un milione di volte, solo per ricordare quella.

In eterno.

…

…

…

(by poetella)

 

 

Mendelsshon – Barcarola veneziana op 30 n°6

 

 

.

 

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– ma sì, papà, dimmi della foto

27 lunedì Feb 2012

Posted by poetella in crescere con l'amore, emozione, le cose importanti, padri e figli, quasi racconti

≈ 14 commenti

Tag

capelli rossi, dimmi, giovinezza, perdonare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

– ma sì, papà, dimmi della foto

 

dai, che farò ancora una volta finta di stupirmi. Farò ancora occhioni, e dondolerò la testa. Come sempre, papà. Ai tuoi racconti di giovinezza.

 

Con una paura in petto, un piccolo tonfo al cuore, un’interrogazione tutta scura. Io, così? anche per me, poi, anche io così?

A pescare con  le mani nella sabbia dei ricordi e voltarli e rivoltarli e gettarmeli addosso come una cipria che colora il vero, l’appanna e mi fa bella.

In poltrona, col plaid sulle gambe.

– ma sì, papà, dimmi della foto

 

Anche se lo so, me l’hai detto mille volta che nonna. Ma sì, aveva portato la foto dal fotografo per fargli coprire quella donna, e tu, bello e giovane, tu te ne restavi lì, di carta, abbracciato ad un fascio littorio. Lo so, lo so che ce l’aveva fatto lui, il fotografo. A matita. Che ombre! Che plasticità! Fatto proprio bene! Per cancellare quella donna. Gesummaria, diceva nonna! Una foto con unadiquelle!

Che io avevo provato a, piano piano, sì, mica te ne sei accorto! Ero ancora al liceo, avevo provato piano piano a cancellarlo quel fascio littorio per vedere com’era quest’unadiquelle. Ma andava via pure la foto, che poi ho ridisegnato tutto per bene. Non ti sei accorto, papà. Ero brava, sai? ma tu non ti accorgevi di me, allora. O almeno non te ne facevi mica accorgere se t’accorgevi di me. papà.

Ma tu, adesso, adesso

– ma sì, papà, dimmi della foto

 

Dimmi com’era bella Ingrid, coi capelli rossi (come mamma, per farti perdonare) Dimmi che lei non ti faceva pagare e ammicca, mentre lo dici, che sembri un ragazzo quando fai quella faccia!

 

Dimmi che lei non ti faceva pagare e gli ufficiali si scocciavano che tu potevi. Tutte le volte. Appena arrivato, tu, e loro dovevano aspettare, dillo, vedessi che faccia che hai.

 

A chi racconterò le mie glorie a novant’anni?

A chi dirò che m’ha amata un dio?

 

Ma tu dimmi che lei era innamorata di te, che tu giovane, tu bello, tu che la facevi godere.

– ma sì, papà, dimmi della foto

 

Dimmelo, ora. Ché quand’ero piccola queste cose non le dicevi. Non parlavi di questioni così. Neanche le parolacce dicevi. Magari se fossi stata un maschio. Quello che hai sempre sognato. Chissà.

Ma adesso. Adesso non c’è vergogna. Adesso mi puoi dire. Dimmi, papà. Che io sorriderò. Felice e complice.

Celebrando la nostra intimità. Finalmente.

…

…

…

(by poetella)

 

 

Ascolta poetella

 

 

.

 

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– Dai, papà, raccontami di Zonderwater

18 sabato Feb 2012

Posted by poetella in amore?, crescere con l'amore, figli, le cose importanti, padri e figli, quasi racconti

≈ 23 commenti

Tag

centomila, dimmi dimmi, ti ricordi

Foto di poetella 

il lanciarò (dal web)

 

– Dai, papà, raccontami di Zonderwater

 

che lo so che ti ricordi. Ti ricordi tutto. Sì, sì, lo so che avevi scritto. Lo so.

La matita. Tutto raccontato su quei foglietti. A matita.

E poi, e poi s’è cancellato. Non c’è rimasto più niente, quando sei tornato.

Eh! non c’erano le biro.

E la stilografica, poi, chi ce l’aveva la stilografica?

Magari chi ce l’aveva, poi, l’inchiostro?

Si trovava l’inchiostro allo shop indiano?

Forse sì.

 

Lo so, papà, che avevi scritto. Ma tu ricordi. Ce l’hai tutto in testa.

 

No, l’appuntamento col cardiologo, quello no. Te  lo devi scrivere sul calendarietto in cucina.

Che dici Comincio a sentire gli anni. Gli anni. Novantatre anni, papà.

 

E dieci volte, cento volte, mille volte mi racconti del dottore tripolino a dermatologia, quattro mesi fa. Che poi gli hai portato una bottiglia di Rosso.

E i cioccolatini.

Ma io te lo lascio dire, sa’, anche se me l’hai già detto.

Ti lascio dire. Questo dire è la tua vita, ormai.

 

La tua memoria trattiene solo quello che vuole, adesso.

Tu giovane.

Tu bello.

Tu amato.

Tu premiato.

Tu invidiato.

Tu mai malato.

 

– Dai, papà, raccontami di Zonderwater

 

Dimmi ancora che eravate centomila. Dimmi com’era il campo.

Dimmi del capitano Tosi, di Torino e di come t’ha tirato fuori di prigione.

Racconta ancora dell’autocisterna che ci mettevi quella busta dentro piena delle cose che compravi per i compagni allo shop indiano.

In quel deserto di polvere.

In quella nostalgia di casa sotto un sole straniero.

 

Che caricavi acqua per bagnare la terra davanti alle cucine.

Sì, lo so, ma non te lo dico che lo so, tu dimmi, dimmi che le cucine erano aperte sul davanti e c’entrava la sabbia quando arrivavano i camion, i lanciarò.

 

Chi ha la patente? Aveva chiesto il capitano Tosi, di Torino

Io, avevi detto tu.

E andavi con la cisterna a riempirla d’acqua al torrente. Per spruzzare la terra rossa.

Si, Zonderwater si chiamava, il campo, ma l’acqua c’era.

E pure lo shop indiano, vicino al torrente.

 

 E ci guadagnavi un pochino. Giusto un pochino per farti ripagare l’incomodo.

 

Dimmi che t’invidiavano, ché tu tenevi i soldi e loro no.

Ma loro mica erano ingegnosi come te, papà. Tu eri una forza!

Tu sei una forza. Ancora adesso.

– Dai, papà, raccontami di Zonderwater

 

Che è tanto bello vedere come ti brillano gli occhi e sembra che hai ancora vent’anni e sei giovane e amato.

E io ti lascio raccontare, mentre ti passo la manopola degli ultrasuoni sulla spalla. Come una carezza. Dolce dolce.

 

Ti voglio bene, papà.

E anche tu.

Adesso lo so, sai?

…

…

…

(by poetella)

 

 

Ascolta poetella

 

 

 

 

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Summertime…

17 venerdì Feb 2012

Posted by poetella in crescere con l'amore, emozione, fiabe, le cose importanti, padri e figli, quasi racconti

≈ 14 commenti

Tag

arietta, canne da pesca, pescatori

 

 

 

 

 

 

  

 

Ci s’era alzati tutti presto. Che si vedeva la luna, dalla finestra, tremolare sull’acqua e dietro gli occhi un dolore, una voglia di sonno.

 

Le bambine si vestivano lente, molli come pupazze. Costumino. Maglietta. Asciugamani nei sacchi. Uno rosso, uno celeste.

E prendete pure i cappelli, aveva detto mamma, mentre spalmava la Nivea sulla schiena, sulle spalle, sulle braccia, sul naso, sulla fronte, sulle cosce.

E pure sulle cosce no!

Zitta che poi ti scotti. E piangi. E spalmava. E a Tata niente. Che quella teneva una pelle scura scura che sembrava una negretta. E dopo sette giorni di mare, figurati. Non si scottava neanche a dormirci, al sole. Neanche dieci ore, al sole, si scottava.

Ma lei, la Lenticchiosa! Che tormento. E li conosceva i morsi sulla pelle, la notte, a girarsi e rigirarsi senza pace, a cercare il fresco del lenzuolo, senza sonno, coi diavoli che la mordevano voraci come piragna.

 

Pure mamma s’era alzata presto, anche se lei no, a pescare no.  Che avrebbe preparato il pranzo, dicendo il rosario pei suoi pescatori, poi sarebbe andata alla funzione e poi giù in spiaggia. Ad aspettare.

Ecco. Tutto pronto.

Fuori, nel buio, verso la spiaggia.

Papà portava la cassetta col verme e una busta con le lenze di profondità, tutto il filo ben arrotolato sul sughero. E gli ami di scorta.

Le bambine, ognuna col sacco con gli asciugamani e i panini morbidi e, fiere, in mano le canne da pesca. Nuove nuove. Col mulinello per avvolgere. Una col manico rosso. Una blu.

 

La barchetta rivoltata, a riva, l’avevano girata tutt’e tre. Fatto.

 Loro due sopra e papà a spingerla in acqua.

Uno scintillio di luna. Un’arietta fresca sulle braccia nude, sulle gambe.

Un canto d’aria.

Poi, remi in acqua, via! Al largo.

Lei guardava l’acqua e aveva paura. Sempre paura di cadere. Si sarebbe ficcata sotto la prua, per essere sicura di non cadere in acqua. Ma mica lo faceva vedere. A papà. No, no.

Datemi le canne che il verme lo metto io. Che se no vi fate male prima di cominciare, aveva detto papà. Meno male, che le faceva un po’ schifo.

Quei cosini molli che si agitavano. E poi, poveretti. Chissà che male con quegli ami. Poveri vermetti.

I pesci piccoli si ributtano in acqua, ok? diceva papà.

Ok.

Pluf, e s’aspetta.

Che speriamo che non abboccano. No. Speriamo che abboccano.

Devo fare vedere che sono una brava pescatrice, pensava lei. Papà è bravo. Anche io.

La barchetta dondolava, all’ancora e attorno era ancora notte d’agosto sul mare. Zitti zitti, che se no i pesci scappano. Che lei voleva parlare, per farli scappare. Voleva avvisarli. Poveri pesciolini.

Poi Papà! Aveva gridato Tata. Tira! Tira! Guardando la lenza tutta curva e tesa e il filo che affondava e risaliva un po’, agitato da qualche dispetto del mare.

Arrotola! Arrotola, aveva detto papà. Presto, arrotola e tira su!

Lei stava immobile a fissare quel filo. Come s’aspettasse la tragedia imminente. Col sudore gelato addosso. La barchetta un po’ dondolava.

La sua canna stava immobile. Nessun tiraggio.

Tata avvolgeva il mulinello velocissima. Un’esperta pescatrice.

Poi, ecco. Due pesciolini attaccati che tremavano, traballavano, si torcevano disperati.

Erano piccoli. Meno male.

Li ributtiamo, papà.

Sì.

Salvi!

E intanto ecco la sua canna che si flette. Uno strattoncino piccolo piccolo.

Poi un altro.

Come un compagnetto che ti tira i capelli. Per dispetto.

Arrotola! Dai! Aveva detto papà. Svelta! Arrotola!

Ed era venuto su un pesciotto bello grasso, rosato. Brillante e luminoso di riflessi di luna.

Lei aveva guardato papà, un po’ fiera, un po’ supplice.

Beh? Aveva detto papà. Mettilo nella cesta, dai. No, ce lo metto io.

Ma lei lo guardava con un’espressione di malinconia. Di struggimento.

Di richiesta di perdono…

E papà, staccando il pesce e buttandolo in acqua Ok, aveva detto, l’anno prossimo si va in montagna. A funghi. E vediamo se…

 

E lei aveva pensato Bello, sì. A funghi.

Chissà, però, se i funghi, quando li cogli…chissà se…

…

…

…

(by poetella)

 

CharlieParker&ChetBaker-Summertime

 

 

 

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Chissà…

15 mercoledì Feb 2012

Posted by poetella in amore?, le cose importanti, mamma, morte, nostalgia, padri e figli, quasi racconti

≈ 12 commenti

Foto di poetella  (mamma)

 

Chissà.

Forse perché è passato un anno dal suo compleanno.

Poco più da quando se n’è andata, quieta, all’alba dell’Epifania del 2011.

Forse per questo.

Che papà piangeva e piangeva, mi ricordo. La guardava e piangeva, lei tutta composta, col collettino di pizzo Valencienne, occhi chiusi,  sul raso rosa tutto pieghe e sbruffi, le piaceva tanto il rosa! E lui la guardava e diceva Guardate che bella che è.

Che bella che è.

E dondolava la testa. Torturava il fazzoletto tutto zuppo, tutto mollo e io pensavo settant’anni insieme a vedersi diventar vecchi e lui ancora a dire che bella che è. A  me, mai.

 

E per consolarlo Tata gli ha detto Papà! Se la sono portata i SantiReMagiSanti.

Li pregava sempre. Ti ricordi papà?

 

Vero.

Se perdeva qualcosa, che so, l’orologetto d’oro, il Longines che le aveva regalato nonno Ezio per la laurea, tempo di guerra, bella spesa, che le aveva detto Questo è prezioso come il regalo che ci hai fatto tu.  Tienilo da conto.

Beh, se lo perdeva, lei subito a dire SantiReMagiSanti, fatemelo ritrovare, come avete trovato la strada per GesùBambino.

Diceva così e pluf! L’orologetto saltava fuori.

E perdeva le chiavi della cantina, che ce l’aveva solo lei e subito SantiReMagiSanti, SantiReMagiSanti.  

E pluf! Saltavano fuori le chiavi.

Gliel’aveva insegnata nonna ‘sta cosa. E funzionava. Come tutte le cose che sapeva nonna.

Pure quella volta dell’anello di brillanti. Quello russo. Caduto nell’acqua a Serapo, acqua bella limpida e noi piccole piccole, coi codini e i fiocchi rosa, ovvio, rosa e solo il pezzo di sotto per costumino, che il sopra ancora non serviva. Pure quello i SantiReMagiSanti. Pure quello. Sott’acqua.

 

Papà! I SantiReMagiSanti se la sono portata. Gliel’hanno trovata loro la strada del Paradiso, aveva detto Tata. E papà Sì, sì. E  le lacrime che scendevano piano piano, come una pioggerellina di marzo, lievi e piccole piccole.

 

Mica l’avevo visto mai piangere, prima.

Manco quando era morta nonna.

Solo quella volta che aveva avuto quel calcolo che gli mordeva i reni e mamma a pregare. Solo quella volta m’aveva chiuso la gola quel pianto.

 

Ma quello era un altro pianto.

Un altro pianto. Senza dolcezza.

…

…

…

(by poetella)

 

 

Chopin Valse de l’adieu_

.

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disattenzioni?

12 domenica Feb 2012

Posted by poetella in amore?, figli, le cose importanti, padri e figli, quasi racconti

≈ 16 commenti

 

 

 

 

 

– E basta che pigi questo tastino, vedi?

– Vedo

– E comincia a scaldare.

 

Tasto pigiato. Il forno a microonde manda una corrente d’aria e sussurra. Il piatto gira.

 

– Gira!

– Si. Appena scatta il timer pigi lo stop. Ok?

– ma…

– cosa?

                           Un raggio di sole, tramonta, un raggio di sole dalla finestra, dritto negli occhi.

Lei li chiude un po’.

Poi li riapre e lo guarda. Lui che la fissa.

 

– Che c’è? Qualcosa che non hai capito? E’ facile

– Ma tu

– Io cosa?

– Ma tu hai gli occhi verdi!

– Papà!

…

…

…

(by poetella)

 

Sidney Bechet – petite fleur

 

 

–

 

 

 

 

–

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