Perdo spesso il bandolodella promessa. Lo metto in un posto sicuro. Preciso preciso.Nascosto, per stare al riparodall’incertezza.Dalla paura di non farcela. Dagli agguati delle voglie.Poi non lo trovo più.
Sparito.Tutto aggrovigliato.Tutto intrecciato a mille e millealtre piccinerie. Tutto sotterrato dagli avventati bisogni. Indotti.Falsi. Forse.O forse no. E non lo trovo più.
Ma certo che è buono fare questi progettidi vasti spazi vuoti, liberi d’inutili ornamenti.
Solo l’essenziale.
Ma cos’è l’essenziale? Dico io. Ci manca sempre un fiore, un nastro, un broccato d’emozione.
O solo una risposta. Che rassicuri. Che arredi le stanze del cuore. Che vuote risuonano.
È una preghieraquesta. Che mi faccio. Mi faccio una preghiera devotamente.
Appassionata, me la faccio. Stammi a sentire, carina, dico, se puoi, stammi a sentire.
Impara bene i silenzi dalle cose silenti. Ecco. Impara a trattenere dalle nubi nere, dalle nubi nere impara. Le nubi nere che serrano l’acqua. Fino a che si può. Impara. Ti prego.
Non tracimare. Non sversare l’impeto del sangue.
Che non gli s’ingorghi il cuore, non s’anneghi chi della nebbia ama la leggerezza, del volo il distacco.
Ti prego, carina, chiacchierona folle, impara i silenzi.
Riempi il calice fino a un dito dall’orlo. E canta solo le prima note del nome adorato, piano piano.
Con la modestia carica del seme. La nobiltà dell’olio d’oliva. L’allegria del fiore a maggio, scanzonata.
Lascia fluire. Dai,meglio, mi dico sempre. E in fondo credo d’aver imparato a cogliere foglie volantiper rubare colorie farmici vestiti nuovi di zecca ogni volta che arriva l’autunno.
Devi smettere di salire, dici, su in cima alla più alta vetta della più alta catena di monti
(dio che aria, che vista straordinaria da lì!) per poi precipitare nel fondo più nero e fondo diecimila, undicimila. Centomila kilometri sotto. Sbatacchiata di qua e di là.
Devi trovare un centro di stabilità, dici.
Devi, dici. Solo perché…
A parte che, perché? dico io. Perché?
E comunque tu, tu che ne sai? tutti a sapere quello che. Tutti bravi. Tutti a consigliare.
Io manco a me stessa do consigli. Ma che ne so io!
E tu, il tuo cuore sotto anestesia. Il tuo cuore fasciato d’equilibrio fasullo.
Il tuo cuore in letargo. È mai stato sveglio? Senti che odore di muffa? No, io no, grazie!
Sì, certo, ti devi centrare, dici
Quello scivolare di sponda in sponda galleggiando, senza conoscere lo scroscio, lo schianto. Senza trasalimenti. Senza apnee e respiri grossi a bocca aperta, quell’aria che fa girare la testa, tutta di colpo così.
Questo è il tuo centro? No, grazie! Davvero no.
La conosci? La conosci la voglia di scrivere un nome con la bomboletta sulle valli della luna, tu?
Che poi te lo guardi da lontano e ti fa luce? Un faro azzurro.
Che gira e gira e lo vedi e poi no. E lo rivedi e poi no. Ma è lì.
Tu che ne sai di parole come gocce d’oro fuso gocciolanti sulla pietra dei giorni.
Tu che ne sai dell’armonia delle stelle che danza in un corpo vivo, vero, davanti a te?
Ogni azione geometria di perfezione.
Ogni non azione, ancora perfetta.
E allora, allora smetti, ti prego
sempre con questo certo, ti devi centrare!
Il mio centro è amore e attorno ancora amore e amore.
Strati d’amore concentrici
bave d’amore uscite dal cuore a ricoprire l’amore.
Una perla splendente d’amore.
Cosa? Quando non ci sarà più, dici?
Ma lui vive in me, cara mia.
Ormai è in me.
Non ci sarà più solo quando non ci sarò più io. Ché sarò morta.
O non ci sarò più io, sarò morta io, quando non ci sarà più.
. Stavo insieme alla luce stamattina insieme all’aria stavo trasparente leggera andavo spedita lasciavo dietro me come una gioia una traslucenza mi dicevo sei brava hai fatto per bene tutto quello che dovevi mi dicevo non hai fatto niente di quello che non.
. I passi erano perle attorno al giorno le ferite (quali ferite?) tutte chiuse
La Lilith, sì, la luna nera congiunta al Nodo Nord,( dice)
Nodo Nord di chi? (fa lei)
Di tutta l’umanità. Tutti. La mancanza (quella continua convinta, mentre s’accende una sigaretta). Tutta l’umanità. Parlo di tutti. Tutti che sentono la mancanza di qualcosa, in questo periodo. È la congiunzione.
Ma sempre si sente la mancanza di qualcosa (fa l’altra, e intanto ascolta e pensa. Accende anche lei) La mancanza (l’altra, la sorella, sentenzia), questo buco. Sentito parlare il cardinale, ieri, al meeting, come si chiama? Ah, Parolin, pure lui co’ ‘sta mancanza. È la congiunzione della Lilith, che ti pare? è quello. «Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?» ha tirato fuori pure Luzi, pensa te! Loro risolvono facile. Manca la fede. (si ferma, smette di gironzolare per il giardinoin cerca di tracce della talpa della malora. La guarda) Ovviamente non poteva che parlare così. So’ preti. Trovi la fede, hai svoltato. (continua) ma non è questo. Non è questo. È solo mancanza di una reale motivazione del tutto. Di un definito progetto interiore. (si siede, fuma, tace. Guarda il giardino, tutto sistemato.)
(L’altra, sul dondolo) Ma la mancanza è buona. Spinge, manda avanti. Fa cercare (dice e la guarda. Spera in conferme)
Certo! Certissimo! Se ce la fai! Se ci tiri fuori il buono, da questa congiunzione. Che voglio, chi sono, che faccio per, e bla, bla, bla… (s’è accalorata. Butta la sigaretta nel piccolo posacenere a forma di luna) Mica tutti così! Certi non fanno che riempirsi, rimpinzarsi, strafogarsi. Di che? Di tutto. Comprano, mangiano, girano, fanno. A morte. Non va. Non è così’ che.
(l’altra ascolta e rimugina. Scava tra quello che ha e vede, scruta. Cerca di capire che cavolo di buono può tirare fuori da questa dannata mancanza che la tortura da quasi un anno)
Eppure, guarda la costellazione di nubi guarda quant’è bello questo teatrino mobile questa migrazione questa ricerca del punto esatto guarda come sovrastano, loro come imperano prive di desiderio ignare del dolore o almeno lasciamelo credere libere d’ogni sottile dubbio anche quando cantilenando si disperdono in pioggia.
… per via che questo “Vuoi star zitta, per favore?” di Carver, che ho ritrovato nel fare un po’ d’ordine tra i miei libri (una scarica portati al BookCrossing della bibilioteca vicino casa) mi sta proprio catturando. E se leggo… non scrivo.
Devo ancora cominciare l’ultimo romanzo di Grossman e non so quando lo comincerò, che li rileggo e rileggo quei miniracconti… e non riesco a smettere!
Vabbè, prima o poi tornerò a scrivere. Che poi, quando leggo prosa, proprio non mi viene fuori niente. Mi inchiodo su quello che leggo e le parole non mi scorrono via, non escono. Entrano solo.
Una schiaritasu in alto, un alleggerimento di fatiche, una tregua.
Si ricominciano a vedere piccoli gruppi, sei, quattro, o solo coppie di pappagallini verdi che temerari lasciano il grande pino accanto alla scuola delle suore. Riempiendo il cielo di minuscoli gridi. Fino a qui.
C’è come un senso di risveglio, troppi giorni di pioggia! come una voglia di uscire a tutti i costi, andare, accelerare il passo, magari cantare.