Non sono triste. Sarà la musica, che poi non è mica triste questa musica.
Sarà il caldo, allora. Che poi, dentro casa c’è un fresco da Dolomiti.
Dunque non sono triste. Che credi, le cose passano, le cose si trasformano. Tutto scorre, diceva qualcuno che sicuramente ci capiva. E tu? tu hai capito?
Non credo, sai. O forse sono io che non ho capito.
Anzi, sicuramente sarò io.
Certe cose non si riescono proprio a capire.
I salmoni, per esempio. Ma chi glielo fa fare a nuotare a rovescio, con tutta l’acqua contro. Chi me lo fa fare a continuare a pensarti. Con tutta la ragione contro.
E ancora il vento. Come una minaccia, un vortice d’instabilità. Si sta appesi ad un pensiero mani serrate. Aspettando l’onda dopo fioriture, un placarsi di cieli, promesse consolidamenti.
Ancora il vento. Sparpaglia disperde minacciando – siamo ancora così fragili! – Aggiunge petali a petali strappati Porta via, porta nuovo, ruba. E poi distrugge. Ricostruisce più in là.
Solo chi è forte dura. Non si lascia spezzare. Non piegare. Non piagare.
Resiste. Saldo d’amore. Come una stella fissa. Che ancora si vede.
Non ti ho scritto più per aiutarti a dimenticare la porta lasciata socchiusa, il beneficio salutare dei venti secondi di abbraccio e la straordinaria quantità di rilascio d’ossitocina – dicono faccia proprio bene, sai?- non ti ho scritto più per aiutarti a dimenticare il calore che sgorga dall’attivazione del nervo vago vagamente ricorderai, immagino. Ma io non ti ho scritto più per sorreggerti nella vana fatica di dimenticare quel meraviglioso fluire delle ore così veloci così voluttuosamente veloci
come una corsa sull’otto volante ché adesso come camminerai più con gli occhi attenti ai passi attenti alle salite alle discese alle curve? ma tant’è.
Pensavo, tu, io. Difficile ormai dire noi. Cieli e terre in mezzo. E strade, macchine, semafori e corse e faccende e visi e voci e affari urgenti e urgenti pensieri per distrarsi e urgenti fughe, perché poi fuggire? e urgenti missioni da compiere. Come condottieri ispirati.
Tu, io, e la stagione fredda che prima o poi arriverà e quella tiepida che ci si sovrappone, sovrappone, parola che fa tremare, oggi, e poi quella calda e di nuovo la tiepida e poi la fredda via, via, fino a veder scomparire l’insinuarsi delle speranze.
Che, dico, se non si sperasse forse che si soffrirebbe meno? O il contrario?
Qualcuno me lo dica, per carità. Qualcuno che sappia, che sappia spiegare, che sappia far comprendere, assimilare, elaborare e poi applicare come dottrina salvifica.
Chi mi salva? Tu eri bravo, un bravo maestro. Ma ho perso le lezioni più importanti. Credo.
Tu, io. Difficile ovviamente dire noi.
Tuttavia, davvero proprio due entità distinte (distanti) ormai.
Continuo a cercarti nei segni in cielo, nelle parole scritte in petto a fuoco, nelle immagini come sequenze di un film da oscar che mi porto raccolte in un cesto invisibile. Pesantissimo. Continuo a cercarti in me, senza uscirmene dal fondo più segreto. Tra poco forse svanirai. Temo. O spero. Ma davvero sarà possibile?
O l’aria è talmente carica di quello che siamo stati da conservarne l’impronta come in un bel memory foam, soffice, elastica e tiepida. Per un po’.
E t’immagino a spiare stelle a scalare montagne in cerca dell’infinito T’immagino a curare la terra e l’anima e cercare anime sorelle che colorino la tua solitudide.
Passeranno gli anni in ogni caso passeranno e non so quando, non so se ci sarò, magari vecchia vecchia
– non mi ci so proprio vedere vecchia vecchia,
sì chissà se ci sarò a ripetermi
(io che non voglio invecchiare, non voglio vedermi diventare ogni giorno più brutta e debole e sola e forse per questo morirò prima)
io camminando a stento, o magari aiutata da uno di quei bastoni a tre piedi, o spinta su una sedia a rotelle dalle mani ancora forti e pietose di mio figlio
chissà se ci sarò a ripetermi
– e forse la nostalgia sarà stemperata, appannata come gli occhi dei vecchi
chissà se ci sarò a ripetermi Eppure ti avevo amato! Quanto ti avevo amato! Non tu. Tu no.
. Stanca morta. Buona premessa per dormire. Oppure no. Fuori, notte. Notte tiepida. Anche i nuovi fiorellini in balcone. State dormendo, piccoli? Come non invidiare quelle corollette trepide, azzurrine. Dondolavano nel venticello del pomeriggio assolato. Una festa di paese. Eppure starli a guardare non mi bastava. Non mi basta niente. Da un po’ di tempo, niente.
Non farei che dormire. Dormire e dormire, se riuscissi a dormire. S’avvicina l’ora. Temporeggio. A che serve andare a rigirarsi, girare il cuscino, sagomarlo. E girarsi ancora. Tirare su il lenzuolo. Toglierlo. Ancora solo il lenzuolo in questa coda d’estate. Detesto. Una stagione inutile. Pochi fiori, in balcone neanche uno. Cominciano adesso. Ricominciano. Ricominceranno davvero? Staremo a vedere. Sempre aspettare. Ma cosa aspettare? Vorrei che fuori ci fosse una città d’Oriente. Che ne so, Samarcanda. Bombay. Che ne so. Mercati e spezie. Di notte. Odori forti. Magari oppio. Oppio. Che effetto farebbe? Ne avrei bisogno.