Era tanto tempo che non ci andavamo. Forse un anno.
Ogni tanto una capatina ci si deve fare, no? E nella folla che tramestava tra pezze e varie, tra file di banchi pieni di schifezze spacciate per rare meraviglie, abbiamo trovato questo bel mortaio in bronzo da farmacia, con tanto di suo pestello, cosa oltre tutto piuttosto rara.
Ce l’hanno venduto per ‘700, ma io lo ritengo più antico. Che poi, antico o no, è molto bello. Oltre al leone coronato, (che poi sarà un leone, o è un leopardo? e la cosa mi fa pensare ad un oggetto inglese, anche per la forma )dicevo, oltre a quell’animaletto coronato ha decorazioni anche sui fianchi, sembrano fiori, rose e riccioli vari, non so, devo ancora pulirlo.
direi che per avere molto più di cento anni… ancora dai le piste a molti, no?
Sei il mio preferito, lo sai, vero?
(Tappeto di Malayer, Persia, metà 800)
P.s.
E che dire del copriletto in seta, anni 50, di Frette…con quellafrangia pazzesca? Non le sanno fare più ‘ste cose belle! Conserviamole. E anche i bei ricordi. No, quelli meglio di no.
Oggi è entrato in casa il tredicesimo (o quattordicesimo?) tappeto.
Ok, quello che era al suo posto se ne starà un po’ arrotolato in soffitta.
Ogni tanto faremo un cambio. Così si conserveranno per altri cento anni. Loro. Noi no.
Dopo ampio studio credo si tratti, ma devo approfondire, di un antico Beluci.
I tappeti Baluchi (anche chiamati Baluci o Beluci ) sono annodati a mano e prodotti originariamente dai nomadi beluci sul confine tra l’Iran, il Pakistan e l’Afghanistan. Questi nomadi si trovano anche in numero minore nel Bahrein e nella provincia del Punjab in India.
Probabilmente è tappeto di fine ‘800. Questo perché i Beluci moderni sono annodati su ordito di cotone. Questo invece è lana su lana. (per chi non sa, trama lana, ordito lana)
Per gli anni che ha è in ottimo stato.
Sono decisamente soddisfatta. Anche perché l’ho pagato pochissimo. Chi lo vendeva non sapeva cosa aveva, al solito!
Sì, oggi vi presento alcuni oggettini delle principali manifatture tedesche (e non )del ‘700.
Ovviamente di Meissen molti avranno sentito parlare. È la prima manifattura di porcellana europea, sviluppata dal 1708 da Ehrenfried Walther von Tschirnhaus e dal suo aiutante, l’alchimista Johann Friedrich Böttger, che ebbe il merito di introdurre i pezzi sul mercato. Nel 1710 fu fondata la fabbrica di Meissen che, per dieci anni, fu l’unica a produrre porcellana.
Prima d’allora l’unica porcellana sul mercato era la cinese, cinesi che gelosamente ne custodivano il segreto di fabbricazione.
Ma, e non sto a raccontare le vicissitudini, gli “alchimisti” di Meissen riuscirono a scoprirlo.
Poi il segreto, per quanto si cercasse, anche tenendo prigionieri gli stessi alchimisti, di tenerlo celato, trapelò.
E da lì seguirono le altre manifatture. Prima Vienna, poi Venezia, poi Sevres e poi tutti gli altri.
In foto potete vederne alcuni esempi:
la piccola compostiera di Meissen, del periodo Marcolini, (che dal 1774 al 1814 fu direttore della manifattura), periodo riconoscibile dall’asterisco tra le due spade incrociate
il marchio di Marcolini
la caffettiera, sempre Meissen metà ‘700,
il piccolo panettiere col vassoietto di dolci in mano della manifatturA di Hochst, fine ‘770, primi 800
la coppia di puttini contadinelli, Meissen, primo ‘800
la fanciulla coi grembiule pieno di fiori, della manifattura di Vienna, ‘700
e sul muro, uno splendido vassoio di Berlino, 1820, col decoro a volatili da cortile.
Prima qualche notiziola su chi ha annodato il tappeto in foto, circa o forse più di 100 anni fa.
I nomadi Ghashghai vivono e si muovono nella provincia Fars nell’Iran sudoccidentale: Fars, Khuzestan e Isfahan del sud, ma in particolar modo attorno alla città di Shiraz. Si trasferiscono due volte all’anno dal pascolo invernale presso il Golfo Persico al pascolo estivo sul monte Zagros, dove il clima è molto più fresco. Durante il trasferimento, è possibile vedere gli uomini con i loro tipici cappelli rotondi correre con i loro cani per guidare vasti greggi di pecore e capre lungo le vie, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere. Le donne, invece, con i loro abiti dai colori sgargianti, si spostano con l’aiuto di asini e cavalli verso i luoghi dove verrà stabilito il nuovo accampamento. Le tende in cui vivono sono spesso fabbricate con pelo di capra.
La produzione di tappeti, kilim, borse, nastri e altre decorazioni ha un ruolo importante della vita dei nomadi. I tappeti presentano un tipico colore di base rosso bruno e il motivo, composto spesso da un medaglione centrale a volte ripetuto nei quattro angoli, viene annodato a memoria. Figure di uomini, animali a quattro zampe, uccelli, alberi e fiori sono elementi popolari. Altri motivi sono stati tratti dagli affreschi e dalle colonne di Persepoli (Tacht-e-Jamshid , in persiano ), capitale cerimoniale sotto la dinastia degli Acmenidi (550-330 a.C.). Sono inoltre noti per le loro belle borse da sella, che annodano per motivi di praticità.
I tappeti Ghashghai di buona fattura, soprattutto se antichi, dato che la produzione recente ha notevolmente ridotto la decorazione e la qualità delle lane, sono prodotti attraenti e resistenti che dicono molto delle condizioni di vita dei nomadi. I tappeti sono interamente prodotti con lana di pecora e capra, con elementi in crine. Sono anche noti come tappeti Qashqa’i, Gashghai, Gaschgai e Kashgai.
Il tappeto che ho acquistato oggi, a due soldi, come potete vedere dalla foto, ha un “problemino” che la mia bravissima restauratrice potrà sistemare sicuramente.
Piace?
Ah, dimenticavo, non l’ho misurato ancora ma dovrebbe essere un tre metri x due circa…
Oggi voglio farvi vedere cosa m’appare davanti appena apro gli occhi al mattino. Certo, non c’è solo questa tavola, ma è la prima cosa che guardo.
Non che io sia credente, da un pezzo non lo sono più, (gli otto anni di scuole dalle suore sono lontani ere geologiche) ma sono comunque particolarmente grata a chi invece, con fede o no, ha reso possibile a tutte le meraviglie di nascere e riempirci anima e cuore
come questa Annunciazione settecentesca di scuola emiliana (notate la meraviglia dell’intaglio della tavola!) di cui non conosco l’autore
No, perché ho comprato questa ciotolina, è piccola, sarà meno di 10 cm, che credo servisse per assaggiare il vino, ma non sono sicura. E c’è uno stemma che, cerca cerca, mi sa appartenere alla famiglia Leonori.
La ciotolina è Alto Lazio, e in effetti nel sei/settecento la famiglia viveva principalmente a Volterra. Che non è Alto Lazio ma lo stile nelle zone confinanti era quello…
Insomma, faceva parte di un corredo da farmacia con albarelli e brocche che però non ho comprato, ché ormai qua dentro non c’entra quasi più niente.
La ciotola però è piccina ed è finita, al solito, in bagno. Ci metterò gli orecchini quando li tolgo la sera. Ok?
Ecco. Una, alle dieci di mattina, sta mettendo a posto la spesa prima di uscire di nuovo per andare a rilassarsi dalla parrucchiera coccolosa e ti torna a casa il rabdomante con un tappeto cinese antico in spalla. Dice – L’ho visto blu. Lo so che adori i tappeti blu. Due soldi… – … – Non potevo non prenderlo!
– E il Tabriz? Che ci facciamo? Soffitta? – No. Vendiamo!
È tremendissimo!Quest’uomo é tremendissimo! Ma noi ci divertiamo così.
E, come dice Antunes, ognuno vola come può! O no?
Ah, dimenticavo. Ho fatto un po’ tardi dalla parrucchiera… ma lei mi perdona…
Ebbene oggi è tornato a casa, dopo una ventina di giorni in.. “salagessi”.
Non trovate che questo orciolo Venezia di primo ‘700 sia una meraviglia?
A me, tra l’altro, piace quasi di più di fianco e tutt’attorno. È completamente decorato, con quelle due figure di sileni sia a destra che a sinistra de “la Bella”.
Chissà che simbologia c’era dietro.
I colori, poi!
Quei verdi… i gialli, i ricciolini bianchi che tappezzano il fondo blu… il segno fluido di tutto il decoro… uno spettacolo!
Sicuramente il pezzo più bello della collezione!
Che poi, anche il piatto col cavallino non è male, no?
È napoletano. Fine ‘600…
Beh, io mi diverto così!
Posso, no?
Ormai anche il bagno è pieno di maioliche. Zaffere, albarelli di Montelupo, orcioli sulle mensole sull’altra parete. E piatti, e ciotole…
Oggi nuovo acquisto dal “nostro agente all’Avana” al mercatino di ponte Milvio. Venduto come Sicilia ‘700.
Ma la perizia non mi convince. Anche perché ci sono degli effetti a lustro. E il lustro era tecnica umbra, ma anche spagnola. Dunque non so. Quello che so è che è bello. Parecchio. E la collezione cresce!
Sarà che ci sarebbero cose che vorrei ripulire dove non posso intervenire.
(mi sa che immaginate cosa…)
Dunque sono intervenuta dove potevo.
Pensili e basi della cucina. Dentro e fuori.
Un massacro.
La furia sterminatrice! Tutti gli spazi e quello che contenevano. Poi, a fine lavoro ho preparato qualcosa di buono che ho congelato in monoporzioni, ché a casa mia ognuno mangia quello che vuole, dunque è bene che ognuno abbia il suo, no?
E adesso, finalmente, prima di dedicarmi alla cena (so’ proprio una casalinga modello, eh?) una bella tisana depurativa, in compagnia dei miei bei “coccetti” antichi?
A sinistra un banco pieno di cianfrusaglie, piatti finti Faenza, statuine con la faccia di Barbie, vecchi centrini scoloriti, un ferro da stiro, una cornice di miniatura con dentro una stampa, poi…
Oddio! Prendile! dico.
Due figurette, stessa base, pose diverse. Stesso stile.
Dice Sarà Cozzi?
Intanto le tiene in mano e me ne passa una.
Ma quale Cozzi! dico Non vedi la base quadrata. E le manone. Forse Ginori.
Ma no! dice lui. Ginori ha l’espressione più dura. E intanto scambia la sua con la mia e guarda.
Poi Quanto le fai ‘ste du’ pupazzette? dice, guardando una specie di energumeno con un cappellaccio calcato quasi fino agli occhi.
E quello Trenta euro, una. Si le prendi tutt’e due te faccio 40 euro.
Ci guardiamo. Lo sguardo dice Sono nostre.
Incarta, paghiamo e via. Col bottino. Cozzi, Ginori o… non oso dirlo, ma io me lo sento sui polpastrelli chi è. Ma non lo dico.
A casa si pranza poi mi metto a cercare su Google. Tre ore di ricerche. E cerca Figure di Cozzi. Ma no, per carità, lo vedi che è tutto un altro mondo. E cerca figure di Ginori Doccia.
Niente. E cerca Napoli… (ci stiamo avvicinando…)
Poi, verso le sei e mezza decido. Tiro fuori la parolina magica Giuseppe Gricci.
Scrivo.
Clicco.
Immagini.
Basta scorrere poco e esce fuori. Stessa plastica di una delle due. Identica. Solo con altri colori. È normale! Mica tutte uguali! Dipinte a mano…
Un’asta. Stima 2000, 4000 euro. Venduta.
Madooooooooooooonna!
Beh, devo confessare, io a Gricci ci avevo pensato subito ma… non osavo sperare!
E invece…
eccole qua. notare i particolari. i capelli… le sopracciglia…i fiori sull’abito… 1750…
Insomma… tutto oggi a cercare di capire la provenienza di questo piatto del ‘700. Innanzi tutto lo stemma, sicuramente di un ramo della famiglia Colonna. Ma quale? Romano? Napoletano? Siculo? Il piatto mi era stato venduto anni fa da un antiquario che me l’aveva dichiarato napoletano. Ok. Ramo napoletano della famiglia Colonna. C’è la colonna nello stemma, no? e c’è anche la sirena, simbolo della forza navale dei colonna all’epoca della battaglia di Lepanto contro gli infedeli… E ci sono gli stendardi… e la catena che lega l’ala dell’aquila , quella che rappresenta l’Oriente… insomma, c’è tutto. Quello che non so è se la manifattura della ceramica è romana o napoletana. Uffa. E non ne vengo a capo. Qualcuno s’interessa di araldica e sa dirmi di preciso a chi appartiene quello stemma e di che periodo è? Il piatto dovrebbe essere settecentesco… ma fine? Inizio? Boh! Non sono riuscita a leggere neanche un post dei mei amici blogger! Mi sono stupidita appresso a questa ricerca. Sono stremata. Buona notte!
Ceramica, terraglia, porcellana, e la Cina e l’Italia e la Germania e le ceramiche rinascimentali e i tappeti e i legni dorati e laccati e gli avori e i dipinti e gli argenti…
“L’arte della ceramica o più propriamente della terracotta, a Pesaro sembra avere origini antichissime, già in età romana, come scriveva nel settecento Giovanbattista Passeri nel suo libro sulla storia dei fossili dell’agro pesarese. Una produzione probabilmente favorita dall’abbondanza di ottima creta che si estraeva dalle rive del fiume Foglia che scorreva sotto le mura della città.
Nel Medioevo continuò la produzione incessantemente. I colori usati, però, erano pochi, verde ramina e bruno di manganese, ma già nel ‘400 si aggiunge il blu cobalto. Si cominciano a produrre, come a Firenze e in tutta la Toscana, le famose zaffere a rilievo, dove il blu rimaneva appunto rilevato rispetto al corpo della ceramica.
Miglioramenti tecnologici, nuovi colori, mecenatismo degli Sforza, nascita di ceramisti che sono, anche, pittori e architetti, tra il 1460 e il 1490 fanno di Pesaro il centro ceramico più importante d’Italia
Poi, nel giro di pochi anni la maiolica pesarese conosce una profonda crisi da cui si riprenderà solo dopo il 1540 grazie, soprattutto, a Girolamo e Giacomo Lanfranco, Bernardino Gagliardino, Ranaldo Rifelli e alla immigrazione di pittori-ceramisti di Urbino e Casteldurante che giungono a Pesaro al seguito della corte ducale di Guidubaldo II°.
Nel seicento di nuovo crisi e una dopo l’altra chiudono le fornaci che erano rimaste attive per quasi tre secoli, ma quel misterioso gene che lega Pesaro alla ceramica provocherà, dopo la metà del settecento, la nascita di un’altra splendida stagione
Il 13 agosto 1763 a rogito notaio Ludovichetti di Pesaro18 viene costituita la società Casali e Callegari con la partecipazione dell’abate Marini che interviene per persona da nominare.
La rosa diventa l’emblema della fabbrica e l’elemento decorativo principale.
La produzione della Casali & Callegari continuerà fino al 1816 quando gli eredi dei soci fondatori si dividono dando vita a due fabbriche distinte
(da Breve storia della ceramica pesarese, di Alessandro Bettini)
E questa è la mia “Barbiera” di Pesaro… probabilmente manifattura Casali e Callegari.
(barbiera di Ceramica, manifattura Casali e Callegari, Pesaro, ‘700)
Possiedo questo piccolo vassoio da circa trent’anni.
M’è sempre piaciuto immensamente. L’antiquario che me l’aveva venduto l’aveva dichiarato di manifattura marsigliese.
Non è che m’avesse convinto tanto, comunque, considerato che lo stile calligrafico veniva utilizzato da moltissime manifatture, avevo dato per buona l’attribuzione.
Cosa? Che è lo stile calligrafico?
CALLIGRAFICO NATURALISTICO Introdotto nella prima metà del XVII secolo nelle fabbriche di Albisola e Savona, il decoro riprende i motivi delle porcellane cinesi in uso durante il Regno Wan-li della Dinastia Ming (1571-1619). Presumibilmente i ceramisti ebbero a disposizione modelli originali cinesi o prodotti persiani di imitazione. La sua denominazione è dovuta alla tecnica di pittura, cioè al segno quasi calligrafico che delinea il disegno e ai soggetti prevalentemente naturalistici In particolare si nota che ai soggetti orientali – lepri, cerbiatti, cani, uccelli tra erbe e foglie lanceolate, fiori e palmette – furono sovrapposti anche motivi occidentali quali castelli, campanili, chiese, figure umane con contorni di cipressi. La realizzazione è su maiolica bianca o azzurrina in monocromia blu nella fase iniziale e poi in policromia con i colori verde, arancione, blu e giallo nel corso della produzione.
Chiaro?
Ma torniamo al vassoietto.
Ieri, grande scoperta!
Non è affatto di Marsiglia. No!
È spagnolo! Di Talavera de la Reina*), città famosa per le ceramiche da secoli. Ed è ovviamente del ‘700. Cosa che già sapevo.
Beh, come diceva quello…
fino alla bara sempre s’impara!
*)Talavera de la Reina è una città e un comune della Spagna, parte della comunità autonoma di Castiglia-La Mancia. La sua popolazione di 83.303 lo rende il secondo comune più popolato della provincia di Toledo e il quarto più grande della regione.
La città è ben nota per la sua arte della ceramica. La ceramica Talavera de la Reina è stata dichiarata patrimonio culturale immateriale dall’UNESCO nel 2019.
Sì, un po’ assente perché mi sto divertendo da matti! Spiego.
Io non sono una frequentatrice abituale di Facebook ma, da un po’ di giorni ho individuato un gruppo che si chiama “Passione per l’Antica Ceramica” e… come potevo non iscrivermi?
Beh, ho scoperto un mondo di esperti ai quali sto sottoponendo le mie perplessità e sto chiedendo chiarimenti che, puntualmente, arrivano!
Esempio:
ho questo piccolo albarello di primo ‘700 del quale non riuscivo a essere certa della manifattura. Cerca qua, cerca là, niente. Troppi dubbi.
Bassano?
Torino? Addirittura qualcosa di tedesco? Avevo visto poi quella lettera ipsilon che mi aveva un po’ distratto.
E invece …
Primo: non è una ipsilon ma sono due i.
Secondo: i caratteri gotici sono tipici della manifattura di Bassano, (visto che meraviglia?) come ho potuto appurare restringendo la ricerca a seguito dei suggerimenti. E come si può osservare da questi oggetti trovati on line.
i due oggetti di Bassano
Terzo: mi hanno addirittura detto cosa c’è scritto! “estratto d’oppio”!
Ovviamente abbreviato in ext opii…
Insomma, poetella studia… studia e si diverte. Faccio bene, no?
La prima manifattura di porcellane europee. Prima d’allora in Europa si faceva solo terraglia, ceramica più o meno pregiata, più o meno preziosa, ma ceramica. C’erano stati vari tentativi di imitare le porcellane orientali, senza successo. Anche presso i Medici, a Firenze.
Erano arrivate varie, fantasiose ricette, (polvere di conchiglie sotterrate per anni e poi lavorate assieme a intrugli vari… ) che non avevano però rivelato l’effettivo ingrediente primario. Il caolino.
L’etimo del materiale risale all’appellativo di una conchiglia dei mari orientali (Concha venerea) detta appunto “porcellana“, la quale, avendo il colore e lo splendore di questa ceramica, in lingua portoghese le avrebbe dato il nome. Comunque già nel sec. XIII Marco Polo, che fu ai servizî di Qūbilāy khān dal 1271 al 1295, aveva impiegato chiaramente la voce “porcellana” in ambedue le accezioni di conchiglia e di ceramica.
Ma finalmente in Europa, e precisamente a Meissen, località situata vicino a Dresda, nel 1708, grazie agli alchimisti Tschirnhaus e Böttger si produsse il primo manufatto in porcellana. Il primo laboratorio e la Real Fabbrica di Porcellane furono istituiti nel 1710, dentro il castello di Albrechtsburg di proprietà del regnante di Meissen, per realizzare porcellana dura
Il famoso marchio delle spade incrociate fu introdotto nel 1720. (prima non ce n’era bisogno!)
Dal 1774 al 1814 direttore artistico fu Camillo Marcolini-Ferretti, che nel marchio della manifattura aggiunse una stella alle due spade incrociate dando inizio al “marchio di Marcolini”; il periodo della sua direzione fu anche un’epoca di grande qualità artistica delle porcellane di Meissen.
E a questo periodo appartiene la mia bella figuretta qui sotto.
Ovviamente Meissen produsse anche splendidi servizi da tavola riservati alla nobiltà del tempo, e un piccolo esempio lo trovate qua sotto.(sempre dal mio soggiorno…)(preciso che il vassoio a parete è della manifattura di Berlino, e le due figurette sono lei, Vienna e il piccolo, manifattura di Hocst)
(foto di poetella)
Nel 1861 la manifattura venne spostata a Triebisch, nella valle di Meissen, dove la sede ufficiale della fabbrica di porcellane di Meissen si trova tutt’oggi. E ancora produce bei pezzi, che non hanno comunque niente da essere paragonato agli splendori del ‘700!
Sì, oggi vi presento un personaggio illustre. L’uomo che sorvolò Parigi su una mongolfiera!
Il signor Leon Gambetta, raffigurato appunto in questo bustino in biscuit di Sevres che si pavoneggia da anni sul mio pianoforte, che ormai è diventato una consolle.
Oltre a essere conservato, in una delle sue repliche, nei Musees Occitanie in Francia, come potete ammirare nell’immagine che accludo.
Il busto risale alla fine dell’Ottocento da un modello dello scultore Alexandre Falguière (1831Tolosa- 1900 Parigi)
Ovviamente ne sono state eseguite repliche fino al 1933 utilizzando il modello originale.
(vassoio francese, manifattura Leroy di Marsiglia, 1730-40)
Sì, stavolta parliamo di ceramica francese.
Tra le arti decorative la ceramica è forse quella che conobbe una maggiore espansione nel ‘700.
Fu fortemente influenzata dallo stile delle altre arti e riflettè, nella sua evoluzione stilistica, il passaggio dal barocco al rococò.
Il Settecento è secolo di grandi innovazioni tecniche, di grandi scoperte. Non per niente è il secolo in cui si scopre in Europa, finalmente, il modo di “fare porcellana”, materiale fino allora conosciuto solo in Oriente.
E anche all’Oriente si rifanno, in modo più o meno fantasioso, le decorazioni di questo inizio di secolo.
Alla base di questa produzione ceramica c’è un’incontestabile ricerca del lusso, dell’eleganza, della grazia.
La produzione francese si espresse all’inizio del secolo in perfetto stile Luigi XIV. Ricordiamo le manifatture di Rouen, Moustiers e Marsiglia. Attorno agli anni trenta del Settecento fiorì la manifattura Leroy, dove appunto fu eseguito il vassoio che vi presento.
Piace? (è anche pubblicato in un testo del ’85… non so se mi spiego!)
(piatto in porcellana di Ludwigsburg dipinto a mano)
In un precedente post vi ho parlato della porcellana di Ludwigsburg…
Vi ho anche fatto vedere un piccolo gruppo in porcellana rappresentante Amore e Psiche.
Adesso parliamo di piatti.
Le corti, le nobili famiglie ricche, i ricchi borghesi altolocati si potevano permettere sulle tavole servizi principeschi,
composti di una moltitudine di pezzi. Piatti fondi, piani, vassoi di portata, salsiere, zuppiere, insalatiere e raviere. Legumiere e salierine varie… nonché suntuosi centro tavola da capogiro.
Qualcosa s’è salvato.
Io per esempio ho quattro piatti di quella prestigiosa manifattura, che trovo di un’eleganza squisita. Come d’altronde ogni prodotto di Luswigsburg!