Ecco che la casa è tutta silenziosa. Ecco che comincia a parlare Debussy ai miei fantasmi irrequieti. Ecco che carezza, che lambisce, che sfiora Dimmi, dove posso mai andare per fuggire la malinconia?
Dove posso riscrivere il mio destino con una penna d’oro ammesso che qualcuno l’abbia già dispettosamente scritto come sottrargli il quadernetto come scarabocchiarci su quattro rigacce sghembe un bel pastrocchio nero e via! Cancellare tutto. Riscriverlo seguendo uno schema musicale – io adoro la musica! – come posso fare, datemi consiglio voi che sapete io non so, non so mai, non so più. Io mi sono persa dietro una tenda nera intrufolata e rimasta lì oltre. In un mondo strano, sconosciuto e noioso quanto noioso troppo noioso
…………………………………………….Pensa Quando vuoi un po’ di spazio per te non riesci mai a trovarlo, in questa casa piena di tutto quello che non serve. Se ne sta a scrivere in cucina, lei, ché in soggiorno ci sono tre piccoli tavoli, uno quadrato, una cineseria del settecento inglese, pieno zeppo di avori, piccoli cloisonné in smalto su rame, bada bene, non su ottone, su rame, un altro tondo con tazze e ciotoline Ginori ‘700, un altro ancora con una caffettiera di Meissen, una ciotolina, un puttino. Tutto ‘700. Tutto bello. Inamovibile. E poi un grande tavolo tondo. Affogato di porcellane settecentesche. Anche loro inamovibili. Tanto chi le muove che non si usa mai quel tavolo? Non c’è davvero posto per il pc, comunque. ……………………………………………. E lei pensa Se volessi uno spazio mio non ci sarebbe, in questa casa piena di tutto quello che non serve. Piena di rumori e di oggetti morti. Se ne sta a scrivere in cucina, ché nell’anticamera c’è una ribaltina soffocata di porcellanine e ceramiche e mortai di bronzo e libri antichi illeggibili e se per caso aprisse il pianetto, come potrebbe mai scrivere lì, senza una lampada, senza la presa di corrente, Ma scherzi, la presa di corrente? È brutta! senza una seggiolina ché non c’entrerebbe. La cameretta, poi, è di suo figlio. E in camera, comò, comodini, altro tavolinetto sommerso di porcellanine, e una poltrona che, ma che ti metti lì? Col pc sulle gambe, a scrivere? ……………………………………………. E lei pensa Se volessi uno spazio mio non ci sarebbe, in questa casa piena di tutto quello che non serve. Uno spazio chiuso come un mondo in una bolla di sapone, come il fondo di un pozzo silenzioso e solitario, come l’interno luminoso di un uovo di Piero della Francesca. E allora se ne sta in cucina, approfittando del sonno degli altri, del sonno della televisione, meritato sonno della televisione pieno di incubi rumorosi, che in casa fa gli straordinari povera televisione, che un giorno se la sono anche dimenticata accesa, che, dice lui, mica me la sono dimenticata, l’ho fatto apposta, così quando torno a casa sembra ci sia qualcuno.
………………………………………….. e lei pensa Magari non ci fosse nessuno! Ma c’è sempre qualcuno. Qualcuno che uccide l’amato silenzio. Quello che, adesso, le consente di scrivere, ascoltando Debussy. Per quanto ancora? Pochi, troppo pochi minuti.
È straordinario come le note di Debussy, “Reviere”, per l’esattezza, ci tranquillizzino, ci plachino, ci portino o riportino, che è lo stesso, in un’atmosfera morbida, quasi nebbiosa, quasi d’autunno, di cadere di foglie, di frescura, di profumi boschivi, di ombre.
È straordinario come, nel silenzio della casa, ci si possa immergere, saranno i condizionatori che aiutano? in un tempo altro, diverso, fortemente desiderato. Direi quasi agognato, in questo luglio così cocente e umido e soffocante. E inutile. Ma quale mese sarebbe mai utile, ormai? Quanto dovremmo aspettare perché si desideri di svegliarsi, al mattino? Perché si annulli definitivamente quel desiderio di dormire, dimenticare, cessare di sperare. Ché la speranza non è detto sia cosa buona, a volte. Non è detto aiuti. A volte.
Meglio sarebbe un cedere, un gettare via. Un disporsi a ricominciare altrove. A testa alta. Senza più guardare dietro. Il nulla che resta