Oggi, sì, camminavo e, improvvisamente, ho sentito un odore che m’ha scaraventato indietro, indietro negli anni. Negli anni e nello spazio.
Un odore che sentivo quando, piccolissima, passavo sotto una specie di galleria, che non era proprio una galleria, era forse un passaggio sotto palazzi antichi, a Terni, e c’era un piccolo bassorilievo che nonna mi diceva Vedi? Quello è San Tommaso.
E l’aria era profumata di legna, di vino della vicina osteria e di sugo con l’agnello per le fettuccine fatte a casa.
Nonna le faceva benissimo, sottili sottili, stesa la sfoglia tonda sul tavolo quadrato della cucina con la tovaglia di lino bianco e questo enorme disco che pendeva dai quattro lati, giallo giallo, che nonna piegava con una velocità che mi sorprendeva, di qua, di là, zic zac, zic zac, tutte le volte mi sorprendeva e poi velocissimamente tagliava con un coltellaccio che io vedevo enorme, tac tac tac tac tac tac, ma forse non lo era.Tutti tagli perfettamente uguali.
E infine prendeva questi rotolini affettati che, quasi per magia, ai suoi movimenti precisi e sapienti, si trasformavano in un grappolo di fettuccine gialle e profumate nelle sue mani sollevate in alto.
Che io andavo a assaggiare poi, così, crude, un pezzettino piccolo, senza farmi vedere. Ed erano buonissime!
Ma guarda te un profumo dove ti riporta!
Deve essere per questo che è un bel po’ che non metto Opium, il mio profumo preferito. Ne metto altri. Quello sta lì, chiuso. E non lo metto.
Ma sì, ieri era gialla. Oggi sta diventando tutta rosa. Tutto cambia, tutto si trasforma. È inutile irrigidirsi attorno a pensieri inutili. A ricordi morti.
Assecondare i transiti. Non opporsi. Questo è saggezza.
Guarda, neanche la scrivo la parola. ché non c’entra affatto questo. È che ci si dispone sempre, sempre di più a guardare le nuvole che passano. A stupirsene. Ci si dispone a spiare le nuove nascite sulla rosa e persino sui pomodori!
E ci si lascia spalancare il cuore ascoltando ballate rinascimentali e poi, ancora, quel gatto nero, quel gattino che mi sa che stava male, che erano un po’ di giorni che non mi miagolava più a vedermi passare sotto l’androne e ieri, miao! Un miao festoso. Di saluto. Di coccola. Di condivisione. Condivisione. Splendida parola.
È che ci si dispone sempre, sempre più a farsi allagare gli occhi da questo cielo finalmente azzurro, che è maggio, diavolo! È maggio.
E dunque, che non ti venga in mente sia una mancanza di…
Che davvero non c’entra affatto questo. Come potrebbe mai essere, no? Che io lo sento, sai? lo sento questo ruscello che mi scorre dentro e saltella e si ferma e scende e allaga i pensieri di pace, di grazia, di dolce serena attesa di fronte a questa straripante meraviglia del mondo.
Hai visto, quest’anno, gli alberi? Anche i platani di via Nomentana mi pare stiano meglio. È tutto uno sventolare di fronde. E quante tonalità al vivaio sulla Tiburtina, e verdi e rosa e viola e gialli e fucsia e rossi!
Quanto, quanto gocciolare di profumi.
Ci si dispone a farci bastare [forse siamo già riusciti, no?] la molteplice varietà di Bellezza che ci circonda. E ce n’è! Se ce n’è! Avevi ragione, sai? La Bellezza è ovunque.
Non dico sia un allenamento. Una tattica. Un padroneggiato metodo di studio. È qualcosa di più fluido. Senza spigoli. Senza sforzi. Viene da sé, come imparare a camminare o a respirare.
Certo, il primo respiro sarà stato faticoso, ci sarà voluto uno schiaffetto d’avvio, ma poi…[schiaffetto?]
Quindi, che non ti venga in mente sia una mancanza di
Ma sì, diciamolo, d’amore. Diciamolo e ridiciamolo. D’amore.
Che io d’amore sono piena. Strapiena. Anche senza di te.
(dal web- Lucio Fontana: Concetto spaziale. Attesa -1965)
Come posso mai chiamare
questo slabbro, questa carta stracciata, questa feritoia sbilenca dove sfiata il mondo.
Come posso chiamarla questa tenda scura che mi copre gli occhi, questi occhiali a specchio che mi oscurano il sole, che posso mai inventarmi per uscire dalla grotta, per riprendermi il cielo
per carezzarmi le orecchie con perle di musica
per dimenticare un nome che è ronzio di zanzara nella mia notte senza riposo?
Potano gli alberi, in giardino. E la siepe. Gran rumore. Grooooooooon groooooooooon… grooooooooonnn Ovvio come le potature servano. Lo sanno anche quelli che non masticano molto di giardinaggio. Fortificano. Eliminano il superfluo. Via! Via, via! Promuovono la fioritura. Il frutto. Succo succoso, succulento grondare delizia.
Vorrei precisare. Non è la potatura che m’infastidisce. La dolorosa agonia dei rami. Il crollo. Non è il taglio.
È solo il gran rumore che fa. Il taglio, appunto.
[d’un amore?][ma guarda un po’!]
Il rimbombo durevole nel cuore drasticamente, severamente, implacabilmente, crudelmente potato.
Che tuttavia, è certo, ancora getterà gemme di speranza e rami e foglie e frutti
ad abbracciare spavaldo, indomito, scellerato lo sconfinato cielo
Certo che eravamo al corrente chiunque si sarebbe reso conto,
non c’era da farsi illusioni a proposito, ovvio che sapevamo, ovvio che ce lo ripetevamo, ogni tanto, così, per non prenderci in giro, non sta bene prendersi in giro a un certa età e neanche prima, mai prendersi in giro, pane al pane, vino al vino
certo che eravamo al corrente, certo che aspettavamo succedesse,
ma un conto è aspettare, un conto è sperareche non, quella volta non, quella storia non, anche se troppo, fin troppo, proprio troppo, e dunque se troppo pieno si svuoterà, se troppo alto si spezzerà, se troppo gonfio si svuoterà,
ma certo, certo che eravamo al corrente tuttavia allora
s’era continuato comunque a respirarefondo sott’acqua, a vagare per i cieli, per gli spazi immensi, per i fondali marini, s’era continuato a rincorrere il destino sperando avesse gli occhi chiusi. Per un po’. Solo per un altro po’. Ti prego, ti prego, solo un altro po’
Ma quando mai!
Certo che eravamo al corrente
eppure il boato è stato forte, così forte che ha frantumato tutto, disperso i pezzi, cancellato le orme, se poi ci fossero state orme, nei sogni non si lasciano orme, sono i sogni che ce ne lasciano, ma che c’entrano i sogni, adesso, lascia stare i sogni! spazzato via tutto, lasciato solo una nebbia che avanza incurante nell’aria
che, forse per questo, quasi niente si vede più. Quasi.
Che poi adesso che nell’aria non si svela alcun annuncio di primavera,
adesso che s’invoca il sonno a gran voce, un sonno di marmotta, di ricco, di orso. Di chiocciola, tartaruga, rospo, di rana e verme, un sonno di statua senza pupille, fredda di pietra, liscia, bianca
poi, adesso che solo la nebbia, una compassionevole nebbia,
annulla la stanchezza del mondo, prova ad annullare la stanchezza del mondo, per lo meno e chissà dove vive mai, il mondo, dove pulsa, dove ama, e tu
adesso che neanche un fiore, neanche una promessa di fiore,
neanche un’ombra di promessa di fiore che ci faccia fermare il respiro, che ci tenga sospesi in attesa, adesso,
… m’era venuta voglia di scrivere della luna. È che ieri, Luna piena in Toro, davvero non riuscivo a non guardarla. Nè a fotografarla. C’è chi è più bravo di me a farlo. E infatti l’ha fatto. Ma questo è un altro discorso. Di un’altra storia. Che non è più mia. Nè tanto meno so di chi sia.
Divago. Al solito.
Ma torniamo alla luna. Che poi davvero ieri sembrava una dea. Vagli a spiegare agli uomini primitivi che è solo un pezzo di pietra. Vagli a spiegare a certe donne che certe storie sono solo pezzi di pietra da gettare nel fiume e guardare come affondano.
Ecco. Ho divagato di nuovo.
Comunque la luna, ieri, era proprio una dea. … … … (by poetella)
così, per scoprire un nesso tra il dato e il ricevuto
ho buttato giù le reti
si sono, (ma guarda!) impigliate nel niente
un niente di sassi lisci sul fondo
nel fondo dei ricordi
scuro come inchiostro di seppia
come inchiostro di china blu questo scrivere del passato passato
– cambio penna, matita o pennello
acquerelli, che ne so, pastelli delicati
niente più inchiostri
qualcosa che sia lieve, trasparente, quasi illeggibile
Non voglio sapere più niente. Vivo.
…
…
…
(by poetella)
P.s. la firma del pastello Martina, è la firma che ho usato per anni nei mille e mille quadri che ho fatto. Quasi tutti ritratti. Che non ho più. Sono sparsi per il mondo. Persino in America! A me restano solo alcune foto, alcune fotocopie a colori e due piccoli quadri… null’altro!
passarci sopra che ne so, una spugna, un panno imbevuto di qualche potente sgrassatore, spruzzare ragionevolezza, rassegnazione, presa di coscienza, spruzzare magari anche qualche maledizione. O benedizione, a piacimento.
Ma soprattutto cancellare.
Non lasciare neanche una traccia, un alone, una sospetta areola giallastra, no, non giallastra, azzurrina (l’azzurro gli si confà, è un fatto) che ne riveli la passata presenza, passata, passata, irrimediabilmente passata. Via tutto.
Insomma, cancellare. Raccogliere quel po’ che resta, fare poi un bel pacchetto e buttarlo. Si deciderà dopo dove. Intanto liberiamocene.
………………………… Ho camminato sugli aghi di pino, finalmente.
Ho sondato il terreno, cauta. Passetti di bimbo. Tornare a sentire il terreno sotto i piedi. Riconoscerlo. Con un po’ di paura.
No. Non paura. Circospezione. È come se si dovesse riprendere una consuetudine. Tralasciata per un po’.
Capita. Tralasciare. Lasciare tra. Ti sto tralasciando, amore mio, lo sai? Devo. Si snodano giorni di devo. Di aspetta. Di dopo, poi, vedrai.
Un dopo ancora troppo lontano per starcisi a concentrare su.
Ma arriverà.
Dunque ti tralascio, amore mio. Ti metto un velo sopra. Ti oscuro come il cielo di oggi. Nubi spesse. Hai visto mai, però, domani?
Non dobbiamo scoraggiarci, non dobbiamo disperare. L’hai detto.
Me lo ricordo. Quando l’hai detto? Come si misura il tempo? La clessidra nella mia testa non la giro più. Per un po’, almeno. La metto via. Chiudo il cassetto. Apro la finestra e guardo fuori.
Arriverà il sole. Quello torna sempre. Basta aspettare. … … …
…………………..………cammino, sento il sole sul viso e addosso (solicello di maggio di prima mattina, lieve lieve, intiepidisce, solletica, carezza) e non importa se a due metri traffico lento del mattino, non importa se la strada tutta una buca, se le facce attorno imbronciate, insonnolite, non importa
………………………….…………………………no, io mi sento giovane.
………………………………………… E cammino, sento il sole sul viso e addosso (solicello di maggio di prima mattina lieve lieve, intiepidisce, solletica, carezza) e ascoltoVivaldi, (il passo a tempo, il respiro a tempo) e non importa se rumori sgraziati di scavatrice a due metri da me, lavori infiniti, cantiere infinito, sirene di ambulanze che trivellano le orecchie, no, non importa
………………………….…………………………ché io mi sento giovane.
………………….….……infatti cammino, sento il sole sul viso e addosso (solicello di maggio di prima mattina lieve lieve, intiepidisce, solletica, carezza) e ascolto Vivaldi, (il passo a tempo, il respiro a tempo) e mi giro di qua e di là e guardo ciuffi di non so che, rossi, gialli, viola, lilla, i rossi, ok, i rossi lo so, papaveri!) e non importa se le bottiglie di plastica vuote,le lattine schiacciate di coca-cola, le cicche di sigarette, le cartacce unte e bisunte, i cartelloni che promettono un città nuova, una fioritura nuova, un mondo nuovo, mentendo, non importa
………………..…….…………………………tanto io mi sento giovane.
Cammino, cammino, cammino e respiro fondo
stordita a tratti da un intenso profumo di gelsomino.
………………………. …………………………………………. E intanto lei pensa Ma se io distruggessi tutto, cancellassi tutto, tutti i fiumi di parole fitte fitte sui dieci (dieci? Undici? O forse dodici?) Moleskine che tengo nella scatolina rossa, dentro l’armadio in camera, ripiano alto, se io cancellassi le ombre di parole che continuano a fluire nel web, come fluiscono le acque piovane nelle feritoie ai lati delle strade ……………………………………..intanto lei pensa Se io facessi sparire le migliaia (più, molto più di duemila) di cose che, come le potremmo chiamare, versi? Poesie? Prose poetiche? Ma in fondo cosa conta il nome, niente! Come non conta niente che la rosa bianca che sta per fiorirmi in balcone si chiami rosa bianca o in un altro modo ………………………………………e lei, così, ancora pensa Se io eliminassi tutto, le foto, ed i centoquarantasette video ed i ricordi, soprattutto i ricordi potrei mai pensare che tutto quello che è stato
(foto di poetella) . …………………………………………..……………… Camminando in quel vento quelle raffiche che stordivano le fronde dei pini, esaltavano i cumuli di terra ai bordi del cantiere, confondevano piccole tracce, rametti, pezzetti di carta, residui di sigarette sporchi di rossetto, o no, sollevando foglie come fosse tutto intriso di vita propria, curioso di sapere, vedere, ascoltare e avanti e avanti …………………………………………………………… Camminando in quel vento a contrasto, quasi una sfida sdegnata come una sfida sdegnata il mio ricacciare indietro pensieri ormai triti e ritriti, senza più un dentro, vesce afflosciate su un prato, schiacciate, giallastre, finite ………………………………………………….………… Camminando in quel vento a contrasto e i gabbiani, intanto, a rallentare il volo, iperboli bianche silenziose, eleganti, i pensieri sfrecciare alle mie spalle come paesaggi dal finestrino di un treno, inafferrabile, lontani, confusi se non per uno, due, tre secondi. Poi perduti.
………………………………………………….………… Camminando in quel vento amando camminare in quel vento non mi domandavo più nemmeno minimamente se qualcosa di me arrivasse a te, con quel vento
E se solo si potesse riavvolgere il filo fino al nodo da dipanare sciogliere magari – non vorrei dire – tagliare se solo si potesse riascoltare il nastro spezzato ritrovare un pensiero dimenticato una vecchia nenia di quelle che rinfrescano o scaldano a seconda, poniamo – quant’è grande la scatola dei ricordi?-
Se solo si potesse rileggere la scritta cancellata sul vetro appannato le linee del destino sui cuori spezzati la luce negli occhi del cielo o dei morti o la scia dell’aereo, di notte in questa terribile notte d’eclisse