Eppure mi bastava (erano anni e anni) gettare quelle tre monetine trascrivendo il risultato.
Controllare, ascoltare poi l’oracolo. (secondo me c’è qualcuno là dentro. In quel libro dico)
Mi bastava starlo a sentire (le parole tra le righe, la bella voce bassa, calda, immaginata) e mi si illuminava, mi si schiariva, per lo meno, mi si delineava il percorso da intraprendere, senza la minima indecisione, senza tentennamenti (anni e anni di consultazioni) senza postumi pentimenti.
L’uomo nobile si comporta così, diceva la voce scritta.
E si seguiva la mano che indicava, perentoria.
Eppure mi bastava aprire il libro, tenere un po’ in mano le monetine, porre la domanda
(non era sempre a soggetto amoroso, principalmente, però, direi) insomma porre la domanda, lanciare sei volte le monete luccicanti e
Fatto.
Ascolta la voce e agisci. Sicura. Fiduciosa. Dagli retta, però, se no, sciagura. Nulla che sia propizio. Attenta.
Mi dovrò ricominciare a mettere nelle mani del saggio. E che sia chiaro. Non sibillino. Chiaro.
. Questa luna d’ovatta quest’incertezza in cielo questo poco distinguere precisare questo rimandare questo rispolverare il ricordo della luna o di altro. In mancanza.
Siamo sempre a caccia di stabilità di contorni precisi di disegni a china senza chiaroscuro questo qui questo lì sono sempre così guardinga ci fosse mai un impercettibile motivo per ma per cosa?
Ma io non lo so se chi non abbia mai provato certi piaceri, certe sensazioni, certe emozioni e dunque non sappia cosa si perde a non…sia più sconsolato di chi abbia provato, abbondantemente provato, appassionatamente provato, parossisticamente provato tutto questo e l’abbia poi perduto probabilmente per sempre.
È l’incertezza. Questo vagare come di grossa nube nera, gonfia, sempre più tetra e non sapere quando e se e se non. E non aver imparato a leggere nei fondi del caffè o nelle parole rovesciate in fondo al petto schiacciate bene come si schiaccia una sigaretta da spegnere che si spegne solo quando vuole lei, che tu la poggi sul posacenere pensando poi me la fumo e lei, pluf! si spegne.
È l’incertezza. Sul farsi o non farsi mentre nel frattempo ti accingi a sbrogliare cose di poco conto per cercare di riempire il vuoto tra una notte e la notte seguente E si portano diligentemente avanti faccenduole come un compitino assegnato da un maestro vecchio, noioso, intransigente e spocchioso che ti vive alle spalle.
È l’incertezza. Che ti secca la gola tra l’indifferenza del mondo che non sa, o magari se ne frega