Tuttavia non posso davvero fare a meno di guardare in su.
Certo, il rischio di inciampare (è già successo che ho fatto un bel volo. Punti sul sopracciglio. Che meno male non si vede la cicatrice) quello c’è.
Ma il rischio vale la pena. Cieli vasti, azzurri, a Roma, per lo meno. C’è quell’azzurro che mi sa solo a Roma. Poi non so. Giro poco.
E non solo cieli. Anche nuvole. Nuvole gonfie e bianche, come cumuli di panna o lievi, leggere, veli di chiffon, o a frotte, una scolaresca in cortile. O quelle solitarie, che se ne vanno a cercare la fine chissà dove, chissà come, chissà per chi. O perché. (vabbè, perché si sa. La scienza ci spiega tutto oggigiorno)
Poi, a volte, la luna.
Tuttavia infatti non posso davvero fare a meno di guardare in su.
Gli alberi. Quelli carichi di verde, che grondano verde e non ci vedi niente che verde, sparito il cielo, sparita la terra, spariti i contorni del mondo o quelli tremuli, ansimanti, pensieri non ben definiti, agitati perennemente da sempre nuove domande, come vento. C’è parecchia vita in su. Oltre noi. Dunque…
Signora
le tue sere diffuse
scavano l’infinito tra i capelli
i secoli
l’inavvertito sempre
il mio declino.
Di valle in valle gli occhi a deviare
i rimbalzi d’autunno
e il verde è nel ricordo
che nessuno ti guarda quando spargi
le tue vesti distese
i mutamenti
l’alterità screziata
la mia sosta.
A volte sensazione di sconcerto
celi ombre
e lungo i fianchi il tratto d’inespresso
che ti scaglia dovunque:
m’incammino.
Una foga di passi che non sanno
non è dato capire.
Soltanto contemplarti se discosto
l’algebra, la tensione, le finestre
che affacciano apparenze
mentre tu spargi la mia vista cieca
e la definizione che ti copre:
non ti darò un mio nome.
Tu mi travasi da distanze enormi
amarti senza averti il mio destino.
. Questa luna d’ovatta quest’incertezza in cielo questo poco distinguere precisare questo rimandare questo rispolverare il ricordo della luna o di altro. In mancanza.
Siamo sempre a caccia di stabilità di contorni precisi di disegni a china senza chiaroscuro questo qui questo lì sono sempre così guardinga ci fosse mai un impercettibile motivo per ma per cosa?
. La signora si domandava come mai, come mai guardando la luna, questi cieli così sgombri, questo vento spazzino, la luna un’ostia benedetta, splendente, santa, santificante si domandava come mai guardando la luna le s’infilava in gola qualcosa di tagliente una spina, una lama o un semplice sottilissimo raggio argentato, un’arma affilata. Un dolore.