Ecco che la casa è tutta silenziosa. Ecco che comincia a parlare Debussy ai miei fantasmi irrequieti. Ecco che carezza, che lambisce, che sfiora Dimmi, dove posso mai andare per fuggire la malinconia?
Dove posso riscrivere il mio destino con una penna d’oro ammesso che qualcuno l’abbia già dispettosamente scritto come sottrargli il quadernetto come scarabocchiarci su quattro rigacce sghembe un bel pastrocchio nero e via! Cancellare tutto. Riscriverlo seguendo uno schema musicale – io adoro la musica! – come posso fare, datemi consiglio voi che sapete io non so, non so mai, non so più. Io mi sono persa dietro una tenda nera intrufolata e rimasta lì oltre. In un mondo strano, sconosciuto e noioso quanto noioso troppo noioso
beh, è un vecchio post, dell’epoca in cui andavo da mia sorella. ora non ci vado più, ma mi piace considerare il fatto che… tutto scorre!
La Lilith, sì, la luna nera congiunta al Nodo Nord,( dice)
Nodo Nord di chi? (fa lei)
Di tutta l’umanità. Tutti. La mancanza (quella continua convinta, mentre s’accende una sigaretta). Tutta l’umanità. Parlo di tutti. Tutti che sentono la mancanza di qualcosa, in questo periodo. È la congiunzione.
Ma sempre si sente la mancanza di qualcosa (fa l’altra, e intanto ascolta e pensa. Accende anche lei) La mancanza (l’altra, la sorella, sentenzia), questo buco. Sentito parlare il cardinale, ieri, al meeting, come si chiama? Ah, Parolin, pure lui co’ ‘sta mancanza. È la congiunzione della Lilith, che ti pare? è quello. «Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?» ha tirato fuori pure Luzi, pensa te! Loro risolvono facile. Manca la fede. (si ferma, smette di gironzolare per il giardinoin cerca di tracce della talpa della malora. La guarda) Ovviamente non poteva che parlare così. So’ preti. Trovi la fede, hai svoltato. (continua) ma non è questo. Non è questo. È solo mancanza di una reale motivazione del tutto. Di un definito progetto interiore. (si siede, fuma, tace. Guarda il giardino, tutto sistemato.)
(L’altra, sul dondolo) Ma la mancanza è buona. Spinge, manda avanti. Fa cercare (dice e la guarda. Spera in conferme)
Certo! Certissimo! Se ce la fai! Se ci tiri fuori il buono, da questa congiunzione. Che voglio, chi sono, che faccio per, e bla, bla, bla… (s’è accalorata. Butta la sigaretta nel piccolo posacenere a forma di luna) Mica tutti così! Certi non fanno che riempirsi, rimpinzarsi, strafogarsi. Di che? Di tutto. Comprano, mangiano, girano, fanno. A morte. Non va. Non è così’ che.
(l’altra ascolta e rimugina. Scava tra quello che ha e vede, scruta. Cerca di capire che cavolo di buono può tirare fuori da questa dannata mancanza che la tortura da quasi un anno)
roteare il mestolino di legno nel sugo in cottura, regolando al minimo la fiamma, come al minimo sto cercando di regolare questi picchi di nostalgia che vengono a galla come le bolle che scoppiettano sulla superficie vibrante, rossa del pomodoro, come rosso è ancora il colore della mia incredulità, a volte, ché come hai potuto, come puoi, come fai, come farai mai?
Mentre avvoltolo lentamente, diligentemente
il pezzettino di carota e quello di sedano nel pomodoro rosso bollente, come avvoltolo il pezzettino di speranze (ma speranze di che? Ma quando mai!) nell’ormai definitivo sudarionero pesante della rassegnazione e della rinuncia, non posso fare a meno di riflettere sul fatto che,sicuramente,
Oggi è bruttofuori. E allora scrivo per colmare il bicchiere di tempo tra quell’ultima volta che t’ho visto a quella in cui non ti rivedrò. Più.
Scrivo ordinatamente per tenerti aggiornato sul come cambierà il colore dei miei occhi e delle mie ore e dei giorni e degli anni scompigliati che non passerai con me.
Perché tu non mi perda del tutto, scrivo distrattamente, né io perda te perché tu trattenga all’angolino sì, a un niente dall’inconscio questo mio viverti accanto invisibile. E niente che ti riporti la mia voce. Né a me la tua.
Scrivo e ti racconto delle oscillazioni della malinconia del trascinarsi zoppo dei desideri e lo so lo so non leggerai non sentirai. Non vedrai. Ma io scrivo e mi consolo di questo fiume d’amore dove a volte nuoto e a volte affogo e mando al diavolo il tempo che m’avanza. Troppo. Ché vorrei dormire. E svegliarmi
Mia cara, mia unica insostituibile amica, ti scrivo da questo autunno finalmente piovoso, ricordi come ci piaceva la pioggia? Col nostro tè al gelsomino davanti, in quella tua casetta piena di colori e libri, di plaid scozzesi e fuori quella grande terrazza che grondava fiori segreti, lontani da occhi di sconosciuti, lontane le noie, le storie scellerate, le cattiverie del mondo.
Cara, cara unica, insostituibile amica, me l’avevano detto che il transito di Urano avrebbe portato stravolgimenti, allora. Perdite, distacchi. Me l’avevano predetto. Questioni di astri. Roba da specializzati.
Sorridevo, allora. Crediamo solo a quello che ci consola. Non sapevo quanto questa predizione fosse vera.
Anni ormai e anni fa.
Ci sono stati stravolgimenti, perdite, distacchi. Infatti ci sono stati. Ribaltamenti del mio asse terrestre. Ed è passato il tempo. Per te no.
S’è fermato allora. Uno strappo e via. Quand’è stato? Sai, non ricordo più la data, l’anno, il giorno.
No. Non è vero. È che non voglio ricordare. Cerchiamo sempre di proteggere la nostra quiete cancellando qua e là. Ma che vuoi cancellare. Sono solchi fondi. Strappi. Tagli. Ferite infette..
Mi manchi, amica mia. Mi manchi e non elaborerò mai la perdita.
Altro che due anni. Si dice ci vogliano due anni per elaborare una perdita..
Ne sono già passati molti di più.
Non passa. Come non passerà probabilmente neanche qualcos’altro.
Ma tu, tu m’immagini mai ti metti mai lì tra consapevolezza e sogno ti figuri il mio viso mentre, che ne so? cammino o sorrido o piango. Incornici mai fotografi mai coi pensieri il ricordo di un sospiro di uno sfioramento di vento dalla porta socchiusa giusto giusto per me arrivata in festa?
E quel mettere e levare gioie e tristezze e dubbi e battere il tempo quando il tempo era danza, ci ripensi mai?
Ci credi, mi ci vedi che sfilo le perle di quei nostri lontani giorni e le conto e riconto le conto e riconto e i conti non tornano mai
E t’immagino a spiare stelle a scalare montagne in cerca dell’infinito T’immagino a curare la terra e l’anima e cercare anime sorelle che colorino la tua solitudide.
…………………………………………………………… Stanotte deve aver piovuto, ma io non ho sentito rumore di pioggia, come tu sicuramente non avrai sentito il mio ……….. – Buongiorno amore mio! che tutte le mattina, tutte le mattine, come tutte le sere ……….. – Buona notte, amore mio! ti sospiro nella mente con la segreta speranza che le onde magnetiche, che ne so, l’elettricità nell’aria, un filino di vento, un nube, un uccellino notturno, qualche atomo vagante d’amore ti venga discreto a portare la mia voce, a te che chissà dove sei, chissà mai dove sei più. E con chi. E perché.
……………………………………Stamattina la strada era tutta bagnata e a me piaceva veder passare grosse nubi gonfie nel riflesso delle pozzanghere come mi piaceva, tanto tempo fa, veder passare, sentir passare le tue mani lente sulle mie braccia, fino alle mani che ti aspettavano, cercavano, serravano, come la terra secca dei campi in questi giorni cerca l’acqua e la trattiene anche se troppo poca ne è caduta stanotte e adesso ha già smesso lasciando tutto che continua ad aspettare
………………………………………………………………………. Ma tu, tu dove sei? Si continua a camminare. Sassi lungo la via. Aggirarli. Oppure scavalcarli. Dipende dalle forze residue. Poche. Decisamente poche. Ti credevi un supereroe, carina?sei solo una donna. E dunque. Tuttavia, continuare a chiedersi
…………………………………………………………………… Ma tu, tu, dove sei?
Abbiamo collezionato scatoloni pieni di ricordi. Polverosi, ormai. Decisamente polverosi. Forse non polvere. Forse s’è tutto sbriciolato. Ruggine. Resti friabili di un sogno. Siamo svegli, adesso. Lo sai, vero, che ho smesso da un po’ di sognare. Vivo di piccole cose terrestri. Ho lasciato le terre degli Iperborei. Da un po’. Ma tu non lo sai. no. Credo di no. Tu non sai più niente di me. O quasi. Indubbio che se volessi sapere, se proprio volessi, potresti. L’aria è satura del mio pensiero. Ti basterebbe respirarne un po’ e sapresti. Ma tu, tu vivi in altre atmosfere, ormai. Credo. Ed io controllo l’insorgere maligno di eventuali altre piccole rughe. Niente, per adesso. Mi riconosceresti. Sono sempre io. Quella che chiamavi la tua Belladonna.
…………………….…….. Lo racconterai mai a qualcuno, ma no, tu no, tu non racconti! Tu tieni tutto per te. Sigillato. Chiuso nel tuo scrigno privato. Nascosto ai più. Anzi, a tutti.
E comunque ti capiterà mai di raccontare a qualcuno di una donna che ti ha amato
– perché poi parlare al passato? – Di una donna che ti ha amato, tuttavia, oltre
oltre ogni possibilità d’amare, senza mai chiedere, senza pretendere – pretendere! Che parola! –
………………………………….Ti capiterà mai di ricordare e raccontare di quei giorni, pochi,
certo, certissimo, pochi, ma potenti come lo schiaffo di un padre severo,
che ti lasciano il segno per giorni – giorni? Giorni? –
……………………………………………………..ti capiterà mai di ricordare il sorriso e gli occhi chiusi
e quel cuore che ti bombardava la camicia celeste, o blu, o bianca o, quella volta, ricordi?
nessuna camicia e qual era che batteva così forte, il mio? Il tuo?
Ma no, il tuo sempre tranquillo. Quasi sempre.
E comunque ti capiterà mai di raccontare la dirompente invasione dell’amore nella tua stanza rossa?
Anche solo di raccontartelo, così, solo un pochetto. Mai, eh?
…………………….…… Ti scrivo da qui, dal silenzio delle mie sponde ti scrivo da questo mare nero di notte, questa costa a strapiombo ti scrivo piano senza rumore, se vuoi ascoltare ascolti, se no, no.
…………………………………… Senza nemmeno un fruscio ti scrivo
Come una nenia ti scrivo, un dondolio, una preghiera, un cantico lamentoso, un verso luminoso che sveli, che mostri, che schiuda gli occhi alla minuscola chiarità di lucciola. Leggimi, dai!
Ti scrivo e mentre ti scrivo ti cerco in fondo ai ricordi, le mani a coppa ti ricreo, ti vedo. Ti tocco, ti carezzo, ti sorrido. Ti guardo.
…………………………………….eppure ricordo perfettamente se non tutti, la maggior parte dei giorni, la maggior parte delle ore di quando costantemente c’era un semino d’attesa, un germinare di Forse, di Vedrai che, di Oggi? Domani?
questo ce l’ho ben presente. E il sorriso.
……………………………………. eppure ricordo perfettamente se non tutte, la maggior parte delle scrollate di spalle, del Tanto io, del Ma sì, sì, che importa! Tanto io… che mi ripetevo sorridendo. Impensabilmente immunizzata dal dolore.
questo ce l’ho ben presente. E ovviamente il sorriso, ecco
…………………………………….eppure ricordo perfettamente, che non si creda che io non abbia avuto i miei giorni da nuvola, i miei giorni da freccia che scocca nel sole, i miei giorni da dea, sì, da dea. Non è mica poco, no?
questo ce l’ho ben presente. E sempre, sempre il sorriso.
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le parole che si porta il vento, ma dove se le porterà mai se non c’è luogo, non c’è spazio che contenga, che raccolga, non c’è cuore che risponda, che domandi, che s’aspetti qualcosa dal vento o da chi sa che. Chi. Come. Dove.
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le tasche della vestaglietta di casa, senza fazzoletti che tanto che piangi a fare se qui è tutto vuoto e nessuno ascolta e nessuno placa e nessuno torna a ricucire lo strappo e nessuno medica, lenisce. Sana.
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le giornate, poca fatica, molta noia, a ricontare i giorni delle comete e delle valanghe che hanno rivoltato il mondo largo largo tondo tondo troppo grande o troppo piccolo per contenere
ti volasse una farfalletta bianca ostinata, insistente, vibrante, tremante, anche trepidante, a circoli, a zig zag, a capovolte, a corsi e ricorsi, a tratti, a volte, a disegnare l’aria avanti agli occhi
………………………………………………………….. ma tu, che ne so, ti cadesse piano, lentissimamente, davvero mollemente, malinconicamente, direi, struggentemente come cadesse un pensiero nell’oblio, una speranza nel niente, come cadesse una lacrima minuscola, lucente, ti cadesse una foglia di platano davanti agli occhi e sì che è estate!
…………………………………………………………..Ma tu, che ne so, ti sorvolasse qualcosa rombando, spostando l’aria con gran turbamento, forando nubi, tagliando in due il disco del sole, il letto del cielo (da una parte tu, da un’altra io)