Come stare seduti fuori della porta sulla strada, indifferenti e quieti questo andare delle ore senza intoppi
– e sarei sempre la solita bambina, in fondo –
Ci basta un passante o un nuovo fiore inatteso e si cede alla meraviglia.
E facciamo tesoro di raggi e sguardi. – il paradiso è una stanza piena di libri che finisce in un’altra. Piena di libri. Che finisce in un’altra. Pensavo da piccola –
Vedi, poi, c’è sempre qualcosa che vibra nella successione incolonnata dei giorni [non serve il mare o un nuovo orizzonte. Chiudi gli occhi]
No. Non saremo più gli stessi, forse, che aspettavano un chissà che, seduti sotto l’albero di Newton.
– Almeno abbiamo conosciuto l’amore e il lampo lontano –
Siamo calmi, adesso, come un vecchio orologio a carica manuale. Affidabile. Con le lancette d’oro. E si continua a fare ordine per consuetudine. Per sentire d’esistere.
Poi guarda. Guarda! È di nuovo fiorito il pesco.
…
…
…
(by poetella)
questa l’ultima poesia da “Nora e il bambino che non aveva ombra”, il mio primo romanzo vincitore del Premio Mangiaparole nel 2012. Primo e ultimo romanzo, credo.
………………………… Ho camminato sugli aghi di pino, finalmente.
Ho sondato il terreno, cauta. Passetti di bimbo. Tornare a sentire il terreno sotto i piedi. Riconoscerlo. Con un po’ di paura.
No. Non paura. Circospezione. È come se si dovesse riprendere una consuetudine. Tralasciata per un po’.
Capita. Tralasciare. Lasciare tra. Ti sto tralasciando, amore mio, lo sai? Devo. Si snodano giorni di devo. Di aspetta. Di dopo, poi, vedrai.
Un dopo ancora troppo lontano per starcisi a concentrare su.
Ma arriverà.
Dunque ti tralascio, amore mio. Ti metto un velo sopra. Ti oscuro come il cielo di oggi. Nubi spesse. Hai visto mai, però, domani?
Non dobbiamo scoraggiarci, non dobbiamo disperare. L’hai detto.
Me lo ricordo. Quando l’hai detto? Come si misura il tempo? La clessidra nella mia testa non la giro più. Per un po’, almeno. La metto via. Chiudo il cassetto. Apro la finestra e guardo fuori.
Arriverà il sole. Quello torna sempre. Basta aspettare. … … …
…………………………… ci si potrebbe limitare a guardare in alto, ci si potrebbe convincere di quanto l’aria sia pesante da basso, di quanto poco ci sia spazio per il volo. Ci si potrebbe costringere a rivoltare l’orizzonte, spaziare, sfrondare, sfondare il confine dei desideri, ricollocare, ridisegnare carte, ricompattare coste, destrutturare i continenti del dolore, ripescare terre appena emerse. Piantarci tende, tirar su tetti, scavare pozzi. Irrigare.
…………………………… ci si potrebbe limitare a guardare in alto, ci si potrebbe convincere che sia arrivato il momento di ascoltare i merli, le tortore (ma dove sono più le tortore?) ascoltare il fruscio dei gerani la notte, nel silenzio della città, solo loro a chiacchierare e dire e raccontare un’altra storia, con altri protagonisti. Eroici. E vissero felici e contenti. Tutti.
. Imparava a riconoscere i colori separare il chiaro dallo scuro a vedere al buio come i gatti a farsi luce da sé sciogliere le piccole dispute dei ricordi
imparava a stendere il respiro a camminare sul filo dello stupore Oh, clandestino, il fiore che spunta dal cemento!
Imparava a stare nelle cose a stare proprio metterci le mani e gli occhi annusare farsi spugna intrisa. E niente aceto, niente amaro