di un po’ di tempo fa…ma va bene lo stesso. no?
buona visione
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(by poetella)
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07 giovedì Feb 2013
Posted amore?, atmosfere magice, Bellezza che salva, camminare guardando, Debussy, empatia, felicità, musica, poesia, video di poetella
in16 venerdì Nov 2012
un mio video, di un po’ di tempo fa…
ma ancora …attualissimo!
ed io lo amo.
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15 sabato Set 2012
una cosa di un po’ di tempo fa…
e niente foto. Ecco.
– Certo, caro, ti pare che non lo so?
non sono nata ieri, e neanche cinquanta anni fa, io. Anche se Che vuoi che contino gli anni, dici. Le so queste cose.
I legami, gli affetti benedetti da Dio e dagli uomini, se Dio vuole e che Dio li abbia in gloria. Lo so. Lo so. Accidenti se lo so.
[le scelte degli anni, un domino infinito]
E i collegamenti e i rimandi, da quello a quell’altro. E da quell’altro a quello.
Che poi contano su di te. Poi. Quanti sono. Quanti collegamenti e rimandi. Loro contano su di te.
– Certo, caro, ti pare che non lo so?
T’è mai capitato di pensare a quante siano le persone che contano su di te? Non dico solo l’indiano al supermercato, un euro e Buon giorno! buona fortuna! No, non solo quello. O la vicina che ti viene a suonare per un limone. E due, tre foglie di prezzemolo, che bastano, sa? bastano. Non dico quelle persone. Dico quelle che Hai promesso. Quelle che M’hai fatto credere che hai promesso. Adesso ci conto. Non puoi non.
Come si fa a mollare per strada i libri di favole e quelli dei conti. Fatti e rifatti. Visti e rivisti. Certo, certo, caro. Come si fa? Anche se c’è chi lo fa. Altre categorie. Cuori pelosi. Quelli che passano sui cadaveri e se ne fregano. Mai passata sui cadaveri io. Neanche tu. Scanso pure le foglie secche io, pensa te. Che ti credi. Mando fuori le mosche e i ragnetti piano piano, senza toccarli, per non fare male.
– Certo, caro, ti pare che non lo so?
Questa storia, tutta la storia che è fatta di giorni e notti e volti, di ore, ore e ore. Passato. Passato diverso, accumulato, stratificato, concatenato. E quanti giorni, quante ore prima che noi. Quante alle spalle prima di. Mica si possono sgrullare come i capelli sul collo e rimetterli a posto. E andare avanti. Ricominciare. Io no, comunque. Io no. E neanche tu.
Le strade si sono incrociate troppo tardi. E che bello che si siano incrociate. Che bello i tuoi occhi. Le tue mani. Le tue labbra.
E le nostre, le nostre ore strappate al tempo, e il tempo in fiamme, quel nostro tempo fuori del tempo accecato, furente, le nostre ore chiuse in una bolla. Segrete. Segrete come la combinazione della cassaforte dei sogni. Che non si può sbandierare ai quattro venti. E come la sbandiererei io quella magia tra noi, come la griderei in giro per sentire, ripetendo, che è vero. Che non è fantasia. Che non è immaginazione. Che non è solo la materializzazione d’una speranza. La costruzione fantastica di un Anche io! Ma no, zitta e mosca. Solo noi lo dobbiamo sapere. Che poi, oltre tutto si sa, gli dei sono invidiosi.
– Certo, caro, ti pare che non lo so?
Che ci possiamo mai inventare per sfrondare il passato? Cancellarlo e ricominciare.
Zac, zac, zac e solo noi a resistere. Solo noi a esistere.
Che mi posso mai inventare per riscrivere il libro? Cambiare le tessere. Rivoltare i cappotti?
Ce ne stiamo a fantasticare, allora, sul filo dei sogni. Impossibili. A dondolare come panni stesi, secchi e bianchi. Aspettando che le forbici, ci sono sempre delle forbici in agguato, aspettando che zac!
Zac, zac, zac e niente a resistere. Più niente ad esistere. Neanche noi.
E quando penso ai tuoi occhi sorridenti e sereni lontani da me, quegli occhi di mare, quegli occhi d’immenso, in altri occhi, legittimi occhi, occhi che possono farsi guardare dai tuoi ovunque, senza velarsi di nuvole, senza schermarsi di ombre. Quando penso ai tuoi occhi che presto perderò. Che non per me. non per me.
– Certo, caro, ti pare che non lo so?
Quando penso che sono straniera nella tua vita, che non c’è scritto il mio nome sul tuo libro, anche se è inciso nel tuo cuore e nel mio il tuo, quando ci penso, lo sai? Quando penso, allora ecco, per me ti dico che sarai, mentre le nuvole continueranno a vagare fregandosene, fregandosene delle colpe e delle pene e del perdono, fregandosene delle lacrime e della gloria di Dio, le nuvole, loro, fregandosene della terra che geme, lontana, per me sarai, per me resterai un dolore alle dita del piede di una gamba amputata. Che non c’è e fa male lo stesso.
Eterno dolore.
Eterna assenza presenza.
E io, per te, non so. Proprio non so.
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(by poetella)
11 domenica Mar 2012
Posted camminare guardando, consapevolezza, malinconia, morte, quasi racconti, vecchiaia
in(foto di poetella)
– Solo una cosa, – aveva detto, – anzi, mezza.
Un vecchietto magro magro, cappelletto con visiera e camicia di lino. A quadretti. Due occhietti pizzuti, con la supplica dentro. Lo stupore.
M’ero fermata. Con una certa difficoltà, devo dire. Quasi una frenata.
Cammino sempre molto velocemente, l’avevo sfiorato e stavo per superarlo, ma lui aveva parlato. Fino fino, flebile. Una voce di passero.
Per quello la frenata. Avevo sorriso allora e Dica, con tutta la gentilezza che potevo tirare fuori in quel sole, in quel caldo.
Che non vedevo l’ora di tornare a casa. E mi si scongelava pure il pesce.
– Mi saprebbe cortesemente indicare da che parte devo andare per piazzale Hegel? Di qua o di la?
L’avevo guardato meglio, sempre sorridendo. Dolce. Cercavo d’essere dolce. S’era perso. Sicuramente.
In mano un telefonino, vecchissimo modello.
– Ma è lontano, da qui… ci vorrà almeno una mezz’ora. Forse più. (io ci avrei messo mezz’ora, ma lui…) Dice a piedi?
– Certo. Non c’è problema per me.
Magro magro. L’avevo visto come procedeva lento. Malfermo. Un passetto alla volta. Ticchete tacchete. Un passetto alla volta.
Come faccio ad aiutarlo, pensavo.
– Che crede? Camminavo molto, io. Doveva avere visto come lo guardavo. Anche se cercavo di non…
– Certo, un po’ di tempo fa, camminavo. Un po’ di tempo…
– Ma è davvero molto, molto lontano. Potrebbe prendere l’auto.
– No, mi sbaglio. Già mi sono sbagliato. Con l’auto. Sbagliato.
– Ma glielo dico io, quale. La porta proprio lì… guardi, lì c’è la …
– No, grazie. Mi dica a piedi.
Risoluto. Ancora la voglia di dimostrarsi che ce la faceva.
Che tenerezza. No. Non era tenerezza. Era pena.
Così magro, ben vestito. Magari a casa c’era una moglie, una vecchia che già stava pensando ma che fine ha fatto. Già brontolava, con la tavola apparecchiata. Per non preoccuparsi. O un figlio, o una nuora insofferente. Magari era uscito per starsene un po’ in pace. E s’era perso.
Con quel sole. Con quel sole che mi splendeva addosso, io, col mio vestitino a fiori e le goccioline di sudore che mi brillavano sulla scollatura. E la gonna larga e il fiocco a stringere la vita. Io spavalda, allegra.
Sentivo una scheggia in gola.
– Allora, guardi, vede lì, quel carrozziere? Deve girare a destra
– Destra.
– Sì, la sua destra e poi andare sempre dritto. (mi capirà?) Seguire la strada. Che fa tanti ghirigori, ma la deve seguire. È tanta… ma arriva. Poi deve chiedere.
– Destra
– Sì, lì a destra, ma chieda, poi
– Chiedo, sì. Grazie.- E s’era incamminato, via, alle mie spalle. Ticchete tacchete.
Mi sentivo colpevole. Che potevo fare, però. Pure il pesce che mi si scongelava.
Magari l’accompagno. Ma no, come faccio. Magari lo metto sull’auto. A quell’età neanche deve pagare il biglietto. Quanti anni avrà avuto. Tanti. Ottanta. Novanta.
M’ero fermata. Ero rimasta due minuti immobile. Tutti pensieri accavallati e la busta della spesa che pesava. Però sono giovane, in fondo, ancora. Ce la faccio. E la busta è bella pesante.
Ero così allegra, prima. Cavolo. Quasi cantavo. Anzi, mi sa che proprio cantavo, poco prima di vederlo.
Torno indietro. Ecco.
Non lo vedo. Poi, lì. Era vicino ad un ragazzotto. Quello, col suo telefonino in mano. Stava facendo un numero. Lui vicino, aspettava. Forse starà chiamando i suoi. È salvo. Lo verranno a prendere. Si prenderà i soliti rimproveri, povero vecchio. Chissà quante gliene dicono.
Improvvisamente un’idea mi s’è stagliata in testa. Come scritta davanti.
A fuoco, sulla pietra dei miei pensieri. Tipo tavole della legge.
Ecco, prima di diventare vecchia, m’ammazzo.
Sicuro.
Appena m’accorgo che ci siamo quasi, m’ammazzo. E buona notte.
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(by poetella)
Borodin – In the Steppes of Central Asia
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