Ma tu, tu m’immagini mai ti metti mai lì tra consapevolezza e sogno ti figuri il mio viso mentre, che ne so? cammino o sorrido o piango. Incornici mai fotografi mai coi pensieri il ricordo di un sospiro di uno sfioramento di vento dalla porta socchiusa giusto giusto per me arrivata in festa?
E quel mettere e levare gioie e tristezze e dubbi e battere il tempo quando il tempo era danza, ci ripensi mai?
Ci credi, mi ci vedi che sfilo le perle di quei nostri lontani giorni e le conto e riconto le conto e riconto e i conti non tornano mai
…………….…. E anche se lei la questione non la vedeva più come da bambina quando le ombre sulla spiaggia si facevano più lunghe, la sabbia umida e tiepida e il sole affondava prima, stanco, nel mare e la sera si metteva un giacchettino ché l’estate stava morendo e con lei le gioie, le corse, le risate e i teneri, giovani amori cominciavano a tirare fuori le lacrime degli addii
. …………………. anche se lei la questione non la vedeva più come da bambina
quando sapeva che in fondo l’estate sarebbe tornata e sarebbe bastato aspettare quegli undici mesi contando i giorni, i sospiri e le speranze e intanto crescendo e vedendo allungarsi i capelli ed i giorni
. …………………….anche, anche se lei la questione non la vedeva più come da ragazza quando le feste ed i balli scivolavano inesorabili verso l’ora del ritorno a casa e tanto lei sapeva che ci sarebbero state altre feste e altri balli e magari anche altri amori, nel frattempo
. ………………………anche se lei sapeva bene, adesso, che tutte le feste erano ormai nei cassetti del passato, le feste vere, quelle dell’esplosione della gioia come i fuochi di mezzanotte, quelle dei canti appassionati d’amore e d’addio
. ……………………………………..beh, lei ancora sorrideva selezionando ora l’uno ora l’altro ammonticchiato ricordo, sorrideva mestamente, certo, ma sorrideva perché ne aveva.
Dio, quanti ne aveva!
Malinconicamente sorrideva, ma sorrideva ancora. … … …
………………………………………………………………………. Ma tu, tu dove sei? Si continua a camminare. Sassi lungo la via. Aggirarli. Oppure scavalcarli. Dipende dalle forze residue. Poche. Decisamente poche. Ti credevi un supereroe, carina?sei solo una donna. E dunque. Tuttavia, continuare a chiedersi
…………………………………………………………………… Ma tu, tu, dove sei?
Abbiamo collezionato scatoloni pieni di ricordi. Polverosi, ormai. Decisamente polverosi. Forse non polvere. Forse s’è tutto sbriciolato. Ruggine. Resti friabili di un sogno. Siamo svegli, adesso. Lo sai, vero, che ho smesso da un po’ di sognare. Vivo di piccole cose terrestri. Ho lasciato le terre degli Iperborei. Da un po’. Ma tu non lo sai. no. Credo di no. Tu non sai più niente di me. O quasi. Indubbio che se volessi sapere, se proprio volessi, potresti. L’aria è satura del mio pensiero. Ti basterebbe respirarne un po’ e sapresti. Ma tu, tu vivi in altre atmosfere, ormai. Credo. Ed io controllo l’insorgere maligno di eventuali altre piccole rughe. Niente, per adesso. Mi riconosceresti. Sono sempre io. Quella che chiamavi la tua Belladonna.
…………….. quando le parole se ne vanno e tornano vuote di risposte, quando i richiami restano inascoltati come inascoltato è il vento forte dietro i doppi vetri e tutto è silenzio, quando non c’è eco, non c’è neanche una minuscola coda sonora
quando tutto intorno è un vociare incomprensibile, come incomprensibili sono i versi dei gabbiani che chissà che diranno mai, chissà che vorranno mai dire
…………….. quando le parole se ne vanno e tornano e non portano niente, a mani vuote come un ospite indelicato, quando le parole si stancano quasi di esistere come si stanca di esistere il desiderio, il sogno, il perdono
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le parole che si porta il vento, ma dove se le porterà mai se non c’è luogo, non c’è spazio che contenga, che raccolga, non c’è cuore che risponda, che domandi, che s’aspetti qualcosa dal vento o da chi sa che. Chi. Come. Dove.
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le tasche della vestaglietta di casa, senza fazzoletti che tanto che piangi a fare se qui è tutto vuoto e nessuno ascolta e nessuno placa e nessuno torna a ricucire lo strappo e nessuno medica, lenisce. Sana.
………………………………Vuoto. Tempo vuoto come vuote sono le giornate, poca fatica, molta noia, a ricontare i giorni delle comete e delle valanghe che hanno rivoltato il mondo largo largo tondo tondo troppo grande o troppo piccolo per contenere
Della primavera dire il vento ancora freddo si vede la neve sul monte lontano se guardo se spingo i pensieri e gli occhi e il cuore oltre l’oltre che fiorisce qua sotto sette, sette piani sotto e margherite e piccoli petali rosa sugli alberi e il merlo e la rondine e il passero infreddolito che mangia bricioline di biscotti.
Direi quel vagare di nubi della primavera direi il tepore a mezzogiorno e i boccioli della gardenia e l’attesa di fioriture promesse, almeno loro e tutto quel rosa imbizzarrito a valle Giulia della primavera direi che non le dona questo silenzio questa casa illanguidita senza porte
senza finestre per farla entrare. E con lei te. … … …
E se volessimo parlare di fiori? Se volessimo dedicarci a starli a guardare per ore e ore, fino ad entrare nella loro anima, ché devono avere un ‘anima, ci piace pensare abbiano un‘anima, fino ad entrare nel loro segreto colorato, profumato, effimero, delicato. Se volessimo rimpicciolirci per poter abitare nel loro cuore generoso di frutti, qualsiasi frutto, anche il più piccolo, quasi invisibile frutto, anche quello che non sarà, non maturerà, non si porgerà al morso, il frutto anche meno odoroso, meno succoso, ma sempre frutto. Se volessimo conoscere il mistero del fruttificare, del nutrire, dello sbocciare, del colorare, consolare, addolcire ogni dolore, ogni sconfitta, ogni mancanza
E si cerca di ricolorare i giorni ci si inventa nuove tonalità vecchie dimenticate sfumature trasparenze velature contrasti volutamente azzardati capricciosi audaci. Ci inventiamo una nuova fiammante tavolozza guarda quei nuovi rosa quei gialli! mettici una punta di rosso ma sì cercalo trovalo dev’esserci del rosso da rubare al primo papavero, che so? a una carta di caramella a quella camicia di tanti anni fa. Prova.
Passiamo una mano di bianco copriamo bene la precedente tonalità E, per carità, per carità
più niente azzurro. Finito. Consumato tutto. Amen.
Niente di meglio che… Come fosse possibile fuggire. Figuriamoci!
accendere una sigaretta e guardare lontano. Lo splendore del tramonto sui colli. A che serve fuggire?a che sarebbe servito? Aveva avuto informazioni certe dal genio che le dormiva in petto. E ogni tanto si svegliava per darle un buffetto. Ehi! Ehi! Dai… Ma sì, dai!
La musica le risuonava nelle orecchie. E dopodomani sarebbe arrivata la primavera. Ce n’erano già da un po’ le avvisaglie. Dunque, andiamo! Si riapra la caccia. Al fiore, al tepore. A nuovi sguardi. A nuovi occhi. Già s’allineavano le prede. (chi l’avrebbe detto! Una tale varietà di selvaggina!) Bastava, sarebbe bastato puntare. Con attenzione. Mirare bene. Concentrata. Poi scoccare.
Si guardava allo specchio, la Signora. Lo specchio le diceva Sei bella. Lo specchio le diceva La tua fronte è pulita. La tua fronte splende. Le diceva Guarda cos’altro c’è, attorno a te. Vedi che tutto si comincia a riempire di fiori. Fiori e fiori e fiori.
Si guardava allo specchio e sorrideva, la Signora perché non aveva motivi per abbassare lo sguardo. Perché poteva guardare dritto chiunque. Dritto e in fondo all’anima. Anche un drago. perché non aveva paura di draghi. O di altro. E se anche ne avesse avuta, fa niente. Lei andava avanti. Una freccia.
La Signora era fiera. Come una leonessa nel vento, sulla cima di una collina contro un cielo infocato
(un video di poetella) . La signora aveva l’umore piuttosto basso. Tutto quel bagaglio che s’era portata dietro per affrontare il lungo viaggio tutte quelle sciarpe colorate quelle carte, quelle matite da temperare e il temperino, no. Tutti quei cappelli, lei che non portava mai cappelli. E abiti lunghi per la sera, quando la sera, solitamente crollava di sonno, viaggio o non viaggio. E quelle scarpe, sette paia di scarpe dei sette colori tacchi più di sette, pelle lucida, lei che per consuetudine portava scarponcini bassi e comodi per camminare veloce come una nuvola.
La signora pensava proprio di aver sbagliato la programmazione. Di non aver portato il necessario per affrontare questo viaggio faticoso verso la terra desolata della sua solitudine. E s’era seduta sul ciglio della strada su un povero resto di tronco tagliato secoli prima, la valigia a terra le mani in grembo, a guardare la via. Probabilmente piangeva. E non passava nessuno. Nessuno. Solo il vento, che soffiava continuo e sollevava la polvere facendola volare scomposta come in un vecchio film western tra una casa vuota e l’altra.
. Guarda, guarda gli alberi fuori della finestra tremolano i rami a questo vento carichi di fiori guarda il prato tutto bianco. Margherite e qua e là giallo e viola. Niente rosso ancora ma arriverà.
Nella posta, di tutto. Tuttavia, sebbene cerchi e cerchi quel – Basta piangere. Eccomi. Sono tornato. Non potevo più… – no. Non c’è.
. M’hai chiamata per nome. Per dirmi addio. Ricordavo. Per nome. Dolcezza che lega i denti. Leggere quel nome scritto da te nella luce chiara del giorno. In un ufficio scrivevi. Sui muri scarni proiezioni di ricordi. Tutto un circolare di ricordi come aria smossa da un ventilatore. E leggere, rileggere poi quel mio nome scritto da te. Senso di appartenenza. L’uomo nomina per possedere. Diceva Pavese. Immaginare la tua mano che digita il mio nome. Immaginare il tuo viso. L’espressione dolce, serena, mentre scrive. Com’è normale ricordare il tuo viso. Quel tuo modo di guardare. Accarezzando. Ed io che credevo, invece, che presto… niente. Svaniti i ricordi. No. Mai.
Il mio nome. Non nomignolo. Non le paroline, i giochi di quando… non diminutivi. Vezzeggiativi, amorosi aggettivi descrittivi. Il mio nome. Preceduto e seguito da infinite dolcezze. Tempestato di dolcezze. Hai scritto. Strano addio il nostro. Un nastro rosso. Che lega. Sei sempre qui. ed io da te. Lo so. Lo sai.
Ma quanta, quanta primavera quanta ce ne vorrebbe per farsi toccare dagli occhi questi occhi accecati questi spilli conficcati nel vuoto d’assenza quanta luce quanta gloria di rosa di rosso di verde quanto manca l’azzurro dov’è l’azzurro tappeto fiorito che scioglie, scioglierebbe l’amaro se solo ma sì, lo sai se solo che.
Quanta primavera e poi estate e poi autunno e ancora inverno dovranno scombussolare il tempo vagabondo senza meta senza te, amore mio evaporato