………………………………….. L’aria è fresca in balcone in questo pomeriggio di fine aprile.
Non ho ancora bisogno di dovermi rifugiare in casa, con il fresco finto dei condizionatori, che a giorni un bravo tecnico mi istallerà sostituendo i vecchi.
Le sostituzioni sono sempre necessarie, quando possibili.
Il guaio è che non sempre sono possibili. Ci si deve tenere quello che si ha. E se non ci piace magari evitare di guardarlo. O guardarlo meno possibile. O guardarlo e pensare ad altro. C’è sempre qualcos’altro a cui pensare. No?
Ecco. Io ho questi fiori. Mi si dilatano negli occhi come una vela gonfia di vento, che mi porta via.
lasciami tranquilla ché c’ho Bach nelle orecchie, non ho tempo, non ho voglia. Proprio non posso, guarda. Rassegnati. E vattene via, che devo fare un sacco di cose, devo uscire in balcone a controllare i bocci di rose, devo togliere le foglioline gialle alla dipladenia, che continua a farne, mi sa che non ama l’acqua calcarea di Roma, troppo dura, troppo duro questo tempo pieno di impicci, di non so, di no. Troppi no, e comunque
……………………………………………. Vattene via, lasciami in pace
che proprio non mi posso dedicare a te, devo fare, devo brigare, devo riempirmi le orecchie di musica e gli occhi di fiori, la rosa bianco è uno splendore e anche i gerani rosso cupo sono enormi, sembrano ortensie, sembrano felici, almeno loro, che se ne stanno lì buoni nel vaso ad aspettare di morire senza fare la lagna, senza protestare, senza brontolare. Quindi, te lo dico un’ultima volta
……………………………………………. Vattene via, lasciami in pace
nostalgia. Non ho bisogno, proprio non ho bisogno di te.
Quandoti penso e se cammino veloce e anche se cammino lenta – poi, camminare veloce, figurati! – e sempre ti penso diciamolo una volta per tutte o solo una volta ancora diciamolo
che mi massaggio il cuore passo dopo passo passo dopo passo quando ti penso col ricordo di te di noi non me lo vede nessuno -è così lontano che non si vede – nessuno mi guarda dentro lo specchio riflette te e me forse divento invisibile forse un poco brillo ma solo un pochetto
. ………………………………………….Non vorrei essere troppo precipitosa, o particolarmente ottimista o magari essere una che si fa illusioni, in fondo mai fatte illusioni, le cose sempre viste con gli occhi ben aperti, e pure le orecchie, mai presa in giro, sempre pane al pane, vino al vino, almeno con me stessa, mai imbrogliata, mai infinocchiata, raggirata
………………………… ………e, comunque, non vorrei essere troppo precipitosa,
una che come vede una lucina subito la prende per il sole, o magari la luna o anche Venere, sì, Venere! Figurati! Lasciamo perdere Venere, che è meglio e non è proprio aria de ‘sti tempi! Non è che sono una che, quando vede un minuscolo brillio lo prende per oro, o argento, o magari addirittura platino, platino! Figurati!
E dunque, stavo dicendo
………………………..……..……Non vorrei essere troppo precipitosa,
una di quelle che se riesce ancora a correre dietro l’autobus e a prenderlo al volo pensa che gli anni per lei si siano fermati, le rughe non aumenteranno, il seno resterà tonico e tonico anche tutto il resto, per sempre, (o almeno per un altro bel pò) ginnastica e cremette e vai!
insomma, e chiudiamola lì
……………………………………Non vorrei essere troppo precipitosa,
ma mi sa proprio che non sono più triste, almeno per oggi, che riesco a tollerare benissimo il fatto che non ti vedrò per chissà quanto. Che dovrò organizzarmi attorno alle mie cose. Ho molte, davvero molte cose da fare. E non sto a redigerne l’elenco.
Dunque posso fare a meno di te. Almeno per un bel po’
Intanto gustiamoci questo giardino. Esplosione del rododendro Sospiro molle, languido, del glicine – come una preghiera. Laude di ringraziamento per l’azzurro del cielo o il tremare profumato della verbena o la cantata in coro degli iris impettiti come guardie del re guardali! E c’era stata la pioggia. Impariamo dai fiori, tutti noi! E quella spirea, poi quel grondare bianco pizzo di culla che veli tenga lontano tutto il male del mondo Cascata di bellezza.
Purificazione. Speranza. … … …
(by poetella)
(ritrovatati questi versi e queste foto, ricordando il giardino di mia sorella che non vedo da anni…)
……………………………………………………… Tutti, in casa, stanno leggendo.
In un silenzio privilegiato e rarissimo. Niente tv. Niente stereo. Niente rumori da fuori. Finestra chiusa. Piove.
In cucina, dove sto da sola con Aureliano Buendìa e il suo contorno magico, unico rumore è il borbottio quieto del ragù che cuoce già da tre ore. E pare non si sia ancora stufato. Io sì. Anche perché qualcuno, in casa, un’oretta fa, ha detto al telefono ad un amico Qua, prima di un anno, non se ne esce.
Sì, 32 anni fa io me ne stavo felice nel lettino di una clinica romana ad aspettare che mi portassero il mio bimbo nato da poco meno di due ore…Buon compleanno amore mio!..
…………….……….. E dire che io, mai stata in guerra, mai visto cadere bombe, rombare aeroplani, crollare palazzi, scoperchiare chiese, mai visto feriti, storpiati, mai io ferita, storpiata, mai imprigionata, torturata, mai sofferto la fame, ok, sì, quella volta in clinica, dovevo fare la colicistectomia, e, dice, Domani le facciamo un ecografia, stia digiuna stasera. Che poi la mattina dopo una fame! Ma aspettiamo che arrivino a prendermi per l’eco. E niente. Ora di pranzo. E niente. Bere acqua, posso bere acqua, vero? Sì, sì, su che nel pomeriggio le facciamo l’eco. E il pomeriggio, niente. Aspetta, aspetta, e alle sei e mezza sferragliare triste dei carrelli della cena. Odore nell’aria di brodo incolore, mele. Altri odori non ben identificati.
A me, niente. Chiedo e, dice, Domani mattina le facciamo l’eco. Stasera solo un te.
……………………….. Uffa! dal giorno prima, solo un te.
E la mattina dopo… niente. E neanche il pomeriggio.
Una fame da matti. Abbuffata d’acqua. Lo stomaco in fiamme, col reflusso gastroesofageo. Una pena!
Il giorno dopo, l’intervento. Dice, L’ecografia gliela fanno mentre è addormentata.
Se non muoio di fame prima. Rido. Cerco, per lo meno. Mentre m’addormento.
……………………………… Poi, però, ho mangiato. Leggero, ma ho mangiato.
Mai sofferto la fame per troppo tempo, dunque.
Mai il freddo. Una bella casa. Abbastanza comoda. Mai un terremoto che distruggesse tutto. Che mi facesse perdere tutto. Mai un alluvione che si portasse via tutto. Mai perso niente. Neanche un anello. neanche le chiavi. Neanche il telefonino.
E allora sarà per questo che non faccio la lagna solo perché…
ad ascoltare l’Adagio assai del concerto in sol maggiore di Ravel, sospesa.
In silenzio, ovviamente. È come se aspettassi qualcosa. Qualcosa che dovesse scaturire da queste note. Qualcosa che mi portasse via, come una lunga fune a cui aggrapparmi e tirare, tirare, uscire dalla finestra aperta sempre ben aggrappata alla fune, volando, planando e poi riprendendo quota. Su un tappeto di note, salendo una scala di note, sdraiandomi su un letto di note.
………………………………………………….…………………. Me ne sto qui
e non sono qui, volteggio, cambio piano d’aria, mi innalzo, mi abbasso, lieve lieve. E la musica. La musica. Questo sortilegio che mi strappa via, mi trascina via, mi rapisce, mi sequestra, mi seduce, mi conquista, mi cattura, mi strega.
da quello scintillio scostumato e irriverente di azzurro senza macchia che ci sovrastava da giorni e giorni, noncurante della noia, della nostalgia, della intollerabile sensazione di costrizione da camicia di forza,
……………………………………………………… finalmente differente
dalla vastità senza confini e senza malinconie di quell’abbagliante sfolgorio di sole pieno di boriose certezze contro le nostre insicurezze frastornate da promesse e disillusioni
……………………………………………………… finalmente differente, in piena sintonia
con questo nostro cuore spaventato e stanco come un bambino piccolo che pensa che non ce la fa
questo cielo grigio di pioggia, oggi, che ci fa compagnia