Ahhhhh… Finalmente. Sta finendo. Poche ore e se ne va. Che fatica. Che cammino in salita. Dice È Saturno. Tutta colpa di Saturno. O merito. Dice Devi capire. Approfondire. Dare il giusto valore alle cose. Scendere in fondo a te. Ti devi rivoltare fino a scoprire il tuo rovescio nascosto. Solo così.
E mi sono data da fare. Ma che fatica titanica. Epica, direi. Però ho capito. E adesso è tutta discesa. E luce.
Ok, oggi parliamo della ceramica Ligure, in particolare di quella di Savona o Albissola… vicine e simili.
“L’affermazione della ceramica ligure è databile intorno alla fine del XV secolo. Prima di quel periodo, si potevano ammirare solo porcellane che provenivano dalla corte del sultano di Istanbul. Erano di derivazione di manifatture cinesi, con il classico decoro bianco-blu. Gli ottomani, elaborarono e interpretarono questi decori cinesi fino alla metà del XVI secolo.”
(di Antonella Gulli)
La ceramica a Savona cominciò , grazie ai traffici portuali con l’Oriente, già nella prima metà del ‘500 a produrre maioliche bianco blu a imitazione di quelle che arrivavano dall’Oriente.
Erano maioliche molto raffinate, specie quelle destinate all’alta borghesia, con caratteristiche differenti nella decorazione.
Ne ricordiamo alcune:
il calligrafico naturalistico, che riproduce disegni tratti dalle porcellane cinesi del periodo Ming o da quelle persiane, tutto rigorosamente bianco-blu-
Tappezzeria: anch’esso d’influenza orientale, è caratterizzato da una base di color azzurro pallido o bianco che può ospitare piccoli moti- vi floreali, farfalle, fiori, uccellini, casette, velieri e nuvole.
Antico Savona o bianco e blu: Questo stile di decoro fu introdotto, circa alla metà del secolo XVII, dalla famiglia Guidobono. Al capostipite Giovanni Antonio (1631-1685) si fa risalire la definizione a chiaro scuro del monocromo turchino. Nelle decorazione la figura umana è collocata in un paesaggio quasi sem- pre costituito da un primo piano con cespi vegetali e con piccole rocce e da un secondo piano con prati, alberi, qualche casa o castello con un piano di fondo con montagne e nuvole.
Istoriato o scenografia barocca: caratterizzato da scene prese dalla bibbia o dalla mitologia. Parecchie di queste scene sono dipinte su grandi piatti modellati a sbalzo sempre in tonalità azzurra ad imitazione delle argenterie genovesi.
Uccelli e prezzemolo: introdotto nel pieno del XVIII secolo nelle fabbriche di Savona ed Albissola, il decoro è ripreso dalla ceramica della famiglia verde cinese e dalla famiglia Kakiemon dove sono sostituiti i fiori orientali con il prezzemolo. I soggetti sono uccelli posati su rami d’alberelli che presentano fronde simili alla foglia di prezzemolo o svolazzanti in cielo. E’ realizzato in vivace policromia
Decoro Boselli: nella seconda metà del secolo XVIII il ceramista Giacomo Boselli produsse ceramiche riprendendo un decoro floreale assai in voga a Strasburgo, a Marsiglia e anche a Lodi; da qui l’origine della denominazione usata ad Albissola per indicare questa tipologia. La decorazione di un oggetto fa perno su un mazzetto di fiori dominato da un tulipano oppure una rosa a cui fanno contorno alcuni altri fiori di piccole dimensioni, botton d’oro, margheritine; completano il tutto opportune foglie.
Levantino: questo decoro, eseguito a più colori o soltanto in manganese, è costituito dal disegno schizzato di minuscoli personaggi e animaletti ma anche di elementi paesaggistici come casolari, alberelli, ecc. Risulta molto diffuso nelle maioliche del pieno secolo XVIII, applicato a tutto campo, oppure entro riserve stagliate su fondo viola di manganese (talvolta azzurro o giallo) steso a spugnato o a robuste pennellate. Nella tipologia a riserve vi è un’influenza orientale; infatti il modulo degli spazi incorniciati è di origine cinese. Le raffigurazioni derivano dalle incisioni del francese Jaques Callot. La realizzazione è sempre su maiolica bianca. Il suo nome deriva dalla famiglia di ceramisti, i Levantino appunto, attivi in Savona e Albissola dalla seconda metà del XVII secolo, e per tutto il XVIII secolo, che seppero realizzarlo con grande maestria.
E appunto a quella categoria appartiene il mio piccolo vassoio, oggetto della prima metà del ‘700, delizioso. Vero?
Quante perle se ne staranno affondate abbandonate sui fondali marini di nero di blu d’ininterrotto silenzio Quante perle e quanti straordinari esseri pulsanti vivranno laggiù ignari dello sfolgorante impero del sole. Poi i diamanti e l’oro l’oro l’argento i rubini i crisopazi che il sole ce l’hanno dentro intrappolato padre e non lo sanno. Non lo sapranno Non lo potranno sapere. Forse mai. Com’ero io prima di te? Dove vibrava in attesa quest’impellente propensione alla gioia? C’è un sospetto di luce anche nelle viscere della terra Tra i basalti i graniti le ossidiane Un anelito che muove le molecole Le dispone a migrare a miscelarsi a mutare.
La Porcellana Ginori a Doccia è stata una delle più prestigiose manifatture di porcellanaeuropea. Nasce per volontà del marchese Carlo Ginori nel 1737, in una villa di sua proprietà a Doccia (oggi inglobata in Sesto Fiorentino). I discendenti di Carlo Ginori continueranno ad esserne i proprietari e a dirigerla fino al 1896, quando avverrà la fusione con la Soc. Ceramica Richard di Milano.
«In questa ricerca delle terre io mi sono principalmente servito del Fuoco come pietra di Paragone ed invero la mia occasione richiese comunemente un possibile attivissimo fuoco, poiché col fuoco ordinario da fondere vi è poco da conseguire, il Fuoco qui è l’Ottimo Analista»
(Carlo Ginori, Teoria degli ingredienti atti a fare la porcellana) (da Wiki)
La manifattura Ginori inizia la propria attività nel 1737 a Doccia, località a pochi chilometri dall’antico borgo di Sesto Fiorentino, nella villa del marchese Carlo Ginori
E di poco più tarde sono le tazzine e la tazza da brodo per puerpera della mia collezione. Diciamo che le prime porcellane ginoriane, dopo primi tentativi in maiolica, risalgono al 1740. I miei esemplari si possono collocare nella seconda metà dei settecento.
Io adoro Ginori. In fondo, anche nelle produzioni ottocentesche, ma anche in quelle del novecento, con la partecipazione come designer di Jo Ponti, c’è sempre ricercatezza ed eleganza.
sì, perché vi voglio cominciare a far entrare nella mia collezione variegata di antichità.
Primo esempio, con annessa descrizione
Vaso da elettuario
Con elettuario (o elettovario, elettovaro, lattovaro) si indica un antico preparato farmaceutico composto da una densa miscela di principi attivi, polveri, parti ed estratti vegetali impastati con dolcificanti come miele o sciroppi per mascherarne il sapore sgradevole. Il composto molle veniva assunto sotto forma di decotto, di infuso o di bolo (pillole prive di componenti minerali).
Il termine probabilmente proviene dal latino electuarium, a sua volta derivato dal greco ekleikton, e rimanda al verbo leccare. (da Wiki)
Il mio , in particolare, proviene da una fabbrica di maioliche del ‘700 di Savona. ovviamente porta la marca Lanterna sul fondo
No, perché anche nel giorno di Santo Stefano si riescono a fare acquisti…
Il mercatino di Ponte Milvio oggi ha dichiarato forfait. Non c’era.
Non se la sono sentita, in un giorno di festa “familiare”, ma soprattutto di pioggia per tutto il giorno, i gloriosi espositori di robetta varia, (tranne rarissime eccezioni) di esporre la loro mercanzia che nessuno avrebbe degnato di sguardi. O magari avrebbe guardato ma, tra ombrello e mascherine… non avrebbe comprato.
Ma noi, indomiti, siamo andati a Piazza Mazzini, dove per questo periodo natalizio, s’è fatto un mercato tutti i giorni.
Le solite bancarellette natalizie, candele mangia fumo, maglioncini di cachemire da 50 grammi, (se va bene) casette coi nanetti e stupidaggini varie, ma…
Il nostro “agente all’Avana”… ha colpito ancora. E abbiamo preso questo boccalotto probabilmente faentino, ma potrebbe essere anche Deruta, male che va’ del ‘700…
Ma la datazione non mi interessa. Tanto con le maioliche è difficilissima. E io non sono ancora espertissima.
Ovviamente è finito in cucina! Che ci volete fare? Nelle altre stanze non c’è più posto!
Camminavo indifferente al cantiere eterno, alle macchine in fila sbuffanti impazienza, agli uomini intirizziti a dare ordini alla grossa scavatrice, a trascinare infiniti avvolgimenti di cavi e cavi neri, che ci passerà mai in quei cavi una volta interrati, voci, scariche d’elettricità, pensieri, parole, verità e menzogne, cosa? Camminavo indifferente ai rumori sgraziati, ossessivi, poi più lievi, allontanati dai miei passi, del martello pneumatico inforcato da una specie di gigante coi capelli rossi, fuori da un cappellaccio di lana grigia, sporco e infeltrito. Come lui, sporco e infeltrito.
Camminavo indifferente alle cornacchie stridule, tutte in picchiata a rubare grossi pezzi di pane lasciati da chissà chi, chissà quando. Indifferente ai gabbiani col volo ampio, libero, liberatorio, ai loro cerchi in cielo come disegni di una mano felice. Sconosciuta e ferma e sapiente.
Camminavo indifferente alla lama gelata del vento ché finalmente è inverno, è inverno di luce chiara al mattino, filtrata di nebbia leggera.
tanti minuscoli uccelli riempire tutto il cielo tra il tetto del mio balcone e il palazzo di fronte.
C’era da far sobbalzare il cuore in petto per lo stupore, per il fremito di speranza di tutte quelle ali così sincrone, così ordinate e al contempo frenetiche, guizzanti. Fugaci.
Mi meraviglia sempre il cielo smosso dai voli. Quel loro andare verso una meta precisa (chissà dove se ne andranno? Chissà perché, per quanto, guidati da chi, da cosa? Torneranno?)
E poi il silenzio,
strano il silenzio, neanche un fruscio, eppure sembravano così vicini. Tanti, una moltitudine a onde. Che pareva finita e poi, no, eccone altri, ricominciava, come ricominciano spesso certi nostri pensieri che sembrano abbandonati e invece.
Ma era bello, come sono belli quei pensieri, dettagli che persistono, che quando ci tornano in mente, come si fa, come si fa
come il seggiolino ribaltabile ancora libero sul regionale veloce verso Arezzo e fuori una campagna assolata d’inverno.
E alberi e nuvole da guardare al tiepido indotto dalla tecnologia benedetta lontana da compagni di viaggio inevitabili fortunatamente evitati.
Senza paragone
come la grazia del silenzio concessa da uno spazio affollato che disperde i flussi dei discorsi intrecciati sommessi schivati come si schiva una corrente d’aria col paravento di volti sconosciuti lievemente sorridenti. Distratti.
Senza paragone
come i pensieri che fai e non dici che si danno le mani uno va e uno viene uno va e uno viene come il paesaggio che scorre davanti e non torna più e alberi e acqua e campi e le poche case pietre a casaccio stese al sole vite placide ad asciugare.
…
…
…
(by poetella)
(Tratto dai miei “Senza paragone ” che probabilmente mai pubblicherò)
Come il luccichio dell’acqua del fiume controluce e il cielo dentro
come le note della suite per liuto di Silvius Leopold Weiss e tutta la casa in silenzio e la strada in silenzio e l’appartamento accanto e quello sotto e quello di fianco a quello sotto in silenzio.
Senza paragone
il silenzio del cuore taciturno il suo battito silente lo scorrere del sangue ma scorre?
Senza paragone
questo stato di quiete apparente come apparente è la quiete del cielo invisibili i moti lontano il rombo dei pianeti roteanti ognuno al suo posto rispettosi
senza paragone
lo scorrere delle ore ognuna al suo posto. Rispettose.
Senza paragone la breve pausa della frenesia dei giorni
che se ne stanno lì buoni e aspettano.
… … …
(by poetella)
Dalla mia raccolta “Senza paragone” di un po’ di tempo fa…