Jean-Paul Égide Martini (ovvero Johann Paul Aegidius Schwarzendorf detto Martini il Tedesco, 31 agosto 1746 - 1816): Plaisir d’amour, romanza per voce e pianoforte (c1784) su testo di Jean-Pierre Claris de Florian. Claire Lefilliâtre, soprano; Arthur Schoonderwoerd, fortepiano.
Plaisir d’amour ne dure qu’un moment, chagrin d’amour dure toute la vie. J’ai tout quitté pour l’ingrate Sylvie. Elle me quitte et prend un autre amant. Plaisir d’amour ne dure qu’un moment, chagrin d’amour dure toute la vie. «Tant que cette eau coulera doucement vers ce ruisseau qui borde la prairie Je t’aimerai», me répétait Sylvie. L’eau coule encore. Elle a changé pourtant. Plaisir d’amour ne dure qu’un moment, chagrin d’amour dure toute la vie.
Era tanto tempo che non ci andavamo. Forse un anno.
Ogni tanto una capatina ci si deve fare, no? E nella folla che tramestava tra pezze e varie, tra file di banchi pieni di schifezze spacciate per rare meraviglie, abbiamo trovato questo bel mortaio in bronzo da farmacia, con tanto di suo pestello, cosa oltre tutto piuttosto rara.
Ce l’hanno venduto per ‘700, ma io lo ritengo più antico. Che poi, antico o no, è molto bello. Oltre al leone coronato, (che poi sarà un leone, o è un leopardo? e la cosa mi fa pensare ad un oggetto inglese, anche per la forma )dicevo, oltre a quell’animaletto coronato ha decorazioni anche sui fianchi, sembrano fiori, rose e riccioli vari, non so, devo ancora pulirlo.
Basta, senti. Basta. Sono stanca. Stanca. Ogni volta così.
Sì, sì. Ogni volta. Taratà, tiritì, taratà. Sì.
Lo dici tu che no. Non ti voglio più sentire. E te lo dicevo. E te l’avevo detto. Invece sì. Ogni volta. Sempre gli stessi discorsi.
Circonvoluzioni attorno a concetti rari. Dio che concetti rari! Te la canto pure. Boheme, primo atto. O secondo?
Battutine. Frecciatine. Frasette mozze. Attenta che quello. Guarda che quello lì.
Dicevi sempre le stesse cose. Quanto tempo? ma sì, nega.
Nega, nega. Tanto…
Seh, seh! Per il mio bene, altrimenti tu, dici… ma tu che? Io che?
E poi, sai che ti dico?
E se anche fosse stato così?
Se avesse voluto solo…
Ok, non dico parolacce. Il signorino è debole d’orecchi. Lui. Ciccino.
E, in ogni caso, me lo dici? Cosa si dovrebbe volere, oltre a…
E non lo dico, tranquillo. Perché, io che volevo? Tu che volevi? Tutti. Tutta l’intera popolazione adulta, che vuole?
Sì, sì, figurati!
Ma che diavolo potrebbe si mai volere? E lui?
Vivere con me? sentilo!
Passare il resto dei suoi giorni con me? ma piantala!
C’è già chi passerà il resto dei suoi giorni con me. Tutto scritto. Tutto certificato. Tutto protocollato e archiviato. Timbri e sputo.
Sì, tu! Chissà che avresti fatto mai tu!
Anche tu, tutto stabilito. Tutto scritto. Tutto certificato. Tutto protocollato e archiviato. Timbri e sputo.
Ma che vuoi che si costruisca, noi, ormai? Siamo vecchi. Viviamo sui cocci. Senti il rumore? Lo scricchiolio sinistro? Restauriamo alla meglio. Rattoppiamo. Mettiamo calce.
Siamo vecchi, caro mio.
No, lui no. Dici bene. Lui no. Anche bello da morire, lui. Sì, sì. L’ho detto e ridetto. Che solo tu puoi ridire? Pure io. Appunto.
E allora? Tira tu le somme, allora. Fatti due conticini.
Te lo dico io, allora, che.
Anche se fosse stato solo per? Io l’ho avuto.
Che poi, c’è modo e modo di…
Non lo dico! Che strazio che sei! Ti fanno paura certe parole? Schifo? Sei proprio vecchio, amico mio.
Io undici tappeti antichi da spazzolare in ginocchio come una serva. No, come Cenerentola che pulisce, strofina e canta
perché io con la musica, tutto. Non sento fatica. Niente noia. Niente male. Io con la musica, io con Mahelr, con Bach, che ne so, con StevieWonder, con i Beatles, con Satie, con Ravel, io con la musica tutto
centotrentasei piatti di ceramica o porcellana antica da tirar giù dal muro e lavare, piano che lo rompi, (e meno male che mi aiuti, attento, piano che si rompe!) e asciugare e rimettere su, quarantasei statuette ‘700, massimo ‘800, primissimo ‘800, per carità, da lavare col pennellino piano piano e poi asciugare col föhn che tanto io con la musica, tutto
niente noia, niente fatica, niente male, io con Mahelr, con Bach, che ne so, con StevieWonder, con i Beatles, con Satie, con Ravel, o Tracy Chapman, o Debussy, io con la musica, tutto.
e per anni l’ho fatto sempre meno fino a che non ho suonato quasi più né preso in mano uno spartito, l’unico pezzo che ogni tanto, da sola a casa mi mettevo a riprovare (parlo di tanto, tanto tempo fa) beh, era questo. A memoria. Visto che lo spartito non lo leggevo quasi più. E anche ora riascoltarlo mi commuove e mi ricorda…
Certo, non suonavo come Lang Lang… ma me la cavavo abbastanza bene.
Questi i fatti: mi alzo, guardo l’ora al cell… vedo che è scarico e vado a metterlo in carica.
Intanto faccio colazione, controllo le piante, annaffio… e tutte le altre cose che si fanno al mattino.
Quando la casa è tutta in ordine e io vestita e truccata (pochissimo) pronta per uscire vado a prendere il telefono e… Pluf! È morto.
Mi spiego. Si vedono su in alto le notifiche, lo stato della batteria, la connessione, ma tutto il resto è nero che più nero non si può. E non risponde a nessun comando.
Il telefono è anche un po’ calduccio.
Ok. Niente panico. Sotto casa c’è un tipo gentilissimo di un negozio di telefonia che mi è venuto in aiuto più volte. Si capirà l’arcano. E, in caso contrario, si manderà a riparare.
Lui continua (lui è il telefono. Una persona ormai!) dicevo lui continua a non dare segni di vita. Inoltre neanche si spegne, non apparendo niente sul display e non potendo quindi dare il comando di spegnimento.
Amen!
sandaletti, lista della spesa, carrello e fuori.
Scendo i miei sette piani, vado verso il negozio e… orrore! Chiuso per ferie fino al 31!
Non conosco altri negozi vicini che riparino cellulari.
Mi rassegno. Dovrò stare senza. Che poi fa anche bene!
Dunque faccio i miei giri per la spesa poi casa.
A casa mi viene un’idea: ma dico, se il telefono è caldo (come lo capisco!) se lo mettessi in frigo?
Beh, detto fatto. Fai lo sciocchino? E io ti mando in Siberia!
Dopo una mezz’oretta lo vado a recuperare. Pigio il tasto e… miracolo! Rifunziona!
Ora ditemi voi?!
Beh, mi sa però che appena riapre il negozio qui sotto, telefono nuovo. È ora!
Gabriel Fauré – Quintetto con pianoforte n. 1 in re minore Op. 89
Il primo quintetto con pianoforte di Gabriel Fauré è un condensato di grande lirismo e abilità contrappuntistica; la genesi di questo brano è lunga e travagliata, i primi abbozzi risalgono al 1887, ma tra pause e ripensamenti viene completato nel 1905. Il quintetto è dedicato a Eugène Ysaÿe che lo esegue il 23 marzo 1906 con il suo Quartetto e con Fauré al pianoforte.
Racconto? Sì, sì, è pronto il caffè. Ora lo porto. E racconto.
E va in cucina. Un fantasmino in camicia da notte fino ai piedi. Di batista. Bianca. È ancora estate troppo calda, fuori.
Insomma, dice, mentre torna con il vassoietto e due tazzine fumanti. Lo posa sul comodino, si siede sul letto. Insomma, tutti ragazzacci.
Mi sa che per il mal di testa e il naso chiuso. Mi strozzavano. Che cavolo ridi! Ma come bravi! Carino. Parecchio carino. Fa la faccetta quasi offesa. Imbronciata. Lui le spettina i capelli.
Insomma, aprivo, fermo! la porta ché avevano suonato e dallo spioncino mi pareva Sandra e invece sbucano ‘ste tre, quattro bestie e uno m’afferra al collo e mi strangola. Cavolo! Soffocavo!
Mi sono svegliata tutta spaventata, che ho pensato meno male! Un sogno. Ma mi sono subito messa le gocce. E lo so che fanno male. Uffa! Che potevo soffocare? Che dici? Ecco.
Beh, dopo un po’ mi riaddormento, sì, sì, russavi della grossa. Mi riaddormento e risogno.
Sempre bestioni che volevano entrare in casa a rubare. Chissà cosa, che manco il televisore moderno c’abbiamo. Quello che pare un cinema. E le anticaglie i ladri non ci capiscono!
Sicuro per quella pubblicità dell’antifurto sonoro, ieri, in tele.
Allora ti gridavo, sì, sì, c’eri pure tu, ti gridavo Chiama la polizia! E tu, Mica lo so che numero c’ha la polizia! E io che pensavo non sa mai fare niente, cazzo!
E sì, pure in sogno. Fermo, dai. Fermo! Bevi il caffè, buono che si fa tardi.
Poi va in cucina col vassoio. Ancora parla.
Che poi, ‘sti sogni. Che ne so, tu no? Tu non sei agitato? Preoccupato? Io sì. Tutto così precario. Che ci farai co’ ‘ste porcellane, ‘sti tappeti polverosi, ‘sti quadri. Tra un po’ qui…
La crisi. Ma ci si solleverà mai? Intanto lava le tazzine e parla.
Ma no, non parlavo di noi. Noi siamo fortunati. Stiamo tranquilli.
Almeno per ora. Ma i piccoli? I giovani? Che macello.
Parla e carica la lavatrice. Si rimette a posto il mollettone. Guarda i fiori, in balcone. Sorride. poi sospira.
Certe volte, lo sai?penso al libro di McCarthy. Come chi cazzo è? leggere mai, sa’! Poi te ne ho parlato. Ok, ok, non ti ricordi. Pure il film c’hanno fatto. Tu, solo calcio, sa’?
Insomma, scenari apocalittici. Crudeltà. Fame. Freddo. Povertà assoluta. Gli oggetti che non servono più, i superflui, certo. Serve solo sapersi difendere. Una lotta preistorica per la sopravvivenza. Chi ce la fa, ce la fa. E chi no, no. Dici di no? Che non va a finire così?
Faccenduole. Pulizie di fine estate. Prima che ricominci.
Che ricominci il fresco. Speriamo.
S’aspetta. Si galleggia in un limbo caldo. Che vuoi per pranzo? Con estrema calma.
Acquisti. Il ragazzo col camion è tornato con le sue verdure fresche.
Almeno qualcosa si muove.
Sta finendo questa palude. La mattina presto pare che. Poi, invece.
Meno male le nuvole.
Se fosse per lei.
Se fosse per lei l’Agosto s’eliminerebbe dal calendario. Plaf. Via. Una spugnata e via.
Se fosse per lei s’eliminerebbero parecchi giorni dal calendario.
E altri, sottolineati in rosso.
Rosso.
Ce ne saranno ancora?
Mettere in ordine la spesa, adesso.
Le piante? Sì, le ho innaffiate. Povere. Sono sopravvissute.
Anche loro, spente. Pochissimi fiori. Esalano uno spruzzetto di verde anemico. Ma ce l’hanno fatta. Guarda le begonie! Ed i gerani. Tre fiori. C’era stata quell’esplosione, a primavera. Mai così. Guardali, ora. Micragna.
Stiamo tutti a naso all’aria, ad aspettare l’acqua. Loro e noi. Noi.
Il noi, quel noi, dov’è finito?
Ad aspettare una goccia, un piccolo segno di moto. Tra uno sbadiglio e l’altro.
400 gr biscotti 150 burro fuso 250 ricotta 150 panna fresca da montare(o già montata…) 3 cucchiai zucchero a velo Frutta (a scelta. Fragole, pesche…)
Tritare i biscotti, unire il burro fuso, amalgamare e versare metà del composto in uno stampo a cerniera da 20cm. Porre in frigo.
In una ciotola unire la ricotta, lo zucchero, la panna montata piano piano, la frutta. Versare il composto sulla base di biscotti e ricoprire con l’altra metà. Porre in frigo almeno un’ora.
ho assistito al Rigoletto su Rai5. Un allestimento super tecnologico e un palcoscenico galleggiante, sulle acque del lago di Costanza: dal tradizionale Bregenzer Festspiele dei Wiener Symphoniker diretti dal maestro Enrique Mazzola. Scenografiastupenda, pazzesca, originalissima. Bello bello ma… le voci… sarà che in testa avevo questo…
Il gatto nero che riposa sulla yucca, tutto ferito, che mi viene incontro e si struscia contro le mie gambe, zoppicando.
Un vecchio biglietto vidimato della metro, con scritto qualcosa che non si legge più. Ma si sa.
Il punta spilli a forma di coniglietto fatto da nonna. Che spunta da un cassetto. E l’avevo dimenticato.
Quella nuvola a forma di cuore. Rosa. All’alba. Mentre, ovviamente, pensavo a
Una scatolina trasparente, prima conteneva formaggini, forse, con dentro una ciocchetta di capelli sottili sottili, e un dentino.
E, sempre mettendo a posto cassetti, un nastrino rosso e una carta dorata. Che non ricordi più cosa contenesse. Ma non importa.
Il bastoncino con la punta azzurra tutta scolorita, del test di gravidanza. Di tanti, tanti anni fa.
La fotografia della classe. La prima classe. Coi fiocchi sul grembiule nero. E la suora maestra. Alta alta. E sorridente. Ed io vicina a lei, tra quaranta ragazzine. Fiera.
Papà che mi diceva Che occhi verdi che hai! E non ci vedeva quasi più.
Mia sorella che mi chiama Cia mia.
Papà che mi chiamava Amore. Piano piano. Piano piano. Dolcemente.
Riflettere sul fatto che il tuo autore preferito è ancora relativamente giovane e probabilmente scriverà ancora.
Ricevere un complimento sul tuo scrivere da un per adesso sconosciuto autore preferito.
Ricordare di quando ricevevi un complimento da tuo padre.
Ricordare come ti sentivi, a ogni conclusione della piccola visita bisettimanale, salutare con un Grazie, amore mio! Lui che quando eri ragazza parlava di te con tua madre dicendo Quella…
Ricevere un complimento da tuo figlio. Vederlo alzarsi da tavola, appena finito di mangiare, pronto a sparecchiare.
Entrare nella stanza di tuo figlio per riordinarla e trovarla già in ordine.
Tornare a casa stanchi morti e trovare fresco, silenzio e poter accendere il pc e mettere della buona musica in sottofondo al tuo riposo.
Un uccellino davvero piccolo che saltella in balcone, anche se ci sei tu, seduta a leggere, muove il capino un po’ a destra, un po’ a sinistra e poi vola via.
Vedere una farfalla coloratissima che svolazza sui gerani. E ci si posa.
Leggere ascoltando Bach.
Leggere ascoltando Mahler.
Leggere ascoltando la pioggia.
Leggere ascoltando il silenzio.
Leggere.
Mettere dei jeans di 20 anni fa e ancora portarli con disinvoltura.
Guardare il piano cottura della cucina a gas, vecchia di cinque, sei anni, forse dieci e trovarlo ancora nuovo e splendente. Come uscito dalla fabbrica.
Aprire il coperchio del pianoforte e accarezzarlo. Come un vecchio amico.
Aprire l’armadio e sentirlo profumato.
Sentire che tutta la casa è profumata. E anche tu.