Tag

, ,

 

(foto di poetella)

 

Ascolta poetella

 

 

– Mai una volta che dicessi Ti ricordi quando…

 

                 E io penso Ricominciamo con questa storia. Dei ricordi. Vivi di ricordi. Proiettato rigidamente verso un passato che ti colori e ricolori come ti pare.

Lo spolveri e lo lucidi stropicciando la memoria.

E io lo vorrei annullare. Via. Spazzare via tutto. Eliminare e riscrivere come su una lavagnetta. Un colpo di cancellino e via.    

       

             – Mai una volta che dicessi Ti ricordi quando…

 

 

                    e non è vero, dico. E invece è vero, penso. Non mi piacciono quei ricordi che piacciono a te, penso. Troppi sbagli. Troppe sviste. Non mi conoscevo. Quante stupidaggini. Abbagli. L’amore. Non era amore. Adesso lo so cos’è l’amore. Quello che non chiede. Non si abbarbica. Non ha bisogno di. Adesso lo so.

E poi, dai, dai! L’altro ieri, quando ci siamo incontrati a Piazza del Popolo, mi sono ricordata, invece.

                           Si, mi sono ricordata di quella volta che ci siamo visti per andare da Cohen. Certo, dopo l’ufficio. Ti ricordi? A via Margutta. Che tu m’hai detto Che bella che sei. Dieci? Venti, trent’anni fa. Non mi ricordo. Ma Che bella che sei! Sì, quello sì.

 

                               Ecco. Ti ricordi anche tu. Lo vedi allora che mi ricordo?

E non dire Non me l’hai detto che ti sei ricordata.

Mica si deve dire sempre tutto. Si consumano le emozioni a parlarne tanto. Parli, tu parli, parli. Consumi tutto come un fuochetto perenne. Che non illumina niente. Non scalda neanche le mani, figuriamoci il cuore.

 

             – Mai una volta che dicessi Ti ricordi quando…

 

            Lo so, sai. Tu sei affezionato solo al passato. Il presente non conta. L’adesso. Adesso che vuoi che ci si possa ricordare, dici. Siamo vecchi. E allora? Mica puoi far brillare l’adesso solo con la luce dei ricordi. Non si accendono più. Non rinasce quel tempo a ricordarlo. È appassito. S’è fatto amaro.  S’è fatto vecchio pure lui e i ricordi. E ognuno ha i suoi.

E anche quelli comuni, sei proprio sicuro che siano gli stessi? Che sia lo stesso, la stessa emozione che ricordiamo? Sicuro?

Io no.

 

                       E non stare la seduto, col giornale davanti. In pigiama. Mentre aspetti chissà che, chissà cosa, ancora. Che si svegli il drago del passato, il drago che non dorme, sai? non dorme.

È morto. Morto e sepolto sotto una gigantesca, insormontabile montagna, una frana di Ti ricordi, che non voglio ricordare.

                   E non mi dire Sta un po’ qui. Fermati. Ché io ho da fare.

Sempre. Non posso stare mai ferma. Mai ferma  un attimo per non pensare ai Ti ricordi? che non mi voglio ricordare, che non mi piacciono più.

 

                             Figli illegittimi che ripudio, scaccio via col dito puntato verso l’infinito, e lo sguardo inquieto, aggrottato, la ruga sulla fronte più fonda, più amara, Vattene via ricordo. Che io ho da fare.

Faccio tutto io, qua. Ho da fare. La casa, la spesa e la cucina e la raccolta differenziata e il bucato e il balcone e la gelata che quest’inverno s’è portata via tutto, e il cambio di stagione e il cambio d’espressione su questo viso che deve fingere come a teatro e certe volte gli viene meglio e certe no. Come a teatro.

No, non mi posso fermare. Mi scoccio a stare ferma.

Mi annoio. Ma niente, non te lo dico, sai? non lo dico che mi annoio a morte con te. E i tuoi ricordi. Non dico niente. A che servirebbe. Strofino il lavello come fosse la mia vita. Per farla tornare a brillare. Vergine. Nuova.

 

             – Mai una volta che dicessi Ti ricordi quando…

 

                 E dici Se muoio, per te non succede niente.

Ma la pianti con questi discorsi del cazzo. Muori. Ma che muori. Noi siamo già morti, finiti, sotterrati sotto strati di uffa, di ancora, di sempre, sempre, sempre lo stesso.

Dio, sempre lo stesso! Mai niente che si rivolti, che si ribalti, che dia una vibrazione a quest’aria stagnante e ammuffita. E chiudi sempre le finestre. E io le apro. Ma resta tutto lì. Puzza.

E dici Domani ritiro le lastre. E se muoio?

 

                          Se muori lo sai che faccio?

Vendo tutto. Butto tutto. Porcellane, mobili, quadri, tappeti. Impicci vari. Svuoto casa.

E non dire Tutto? No, dai. Tutto no.

E non ti alzare, non mi venire vicino. Non mi  prendere le mani. Che sono bagnate. Non me le stringere.

Che tanto se muori butto tutto, sa’. Butto tutto lo stesso.

                  Lascio solo il letto. I mobili di cucina. E tappezzo casa di scaffali per metterci i libri. Il resto via. Tutto via. Aria.

 

             – Mai una volta che dicessi Ti ricordi quando…

 

No. Non lo dico Ti ricordi quando. Butto tutto con tutti i ricordi appiccicati come mosche morte, incollate, spiaccicate, cancello tutto lo spazio e lo ricreo. Vergine.

 

                   Lascio solo il letto. I mobili di cucina. E tappezzo casa di scaffali per metterci i libri.

 

Coi ricordi degli altri. Che fanno meno male, distolgono, accomunano e consolano un po’, senza dolore. Ecco.

(by poetella)