Lo sai? aveva detto lei
mentre la stanza s’era riempita d’acqua. Si respirava attraverso la pelle. Attraverso gli occhi. O anche le labbra, o i capelli.
O le mani, le braccia, le gambe. Dalle superfici lisce entrava come un’aria che ossigenava l’essere e lo sollevava.
Lo espandeva in una fluttuazione d’alga, di grande, libero animale acquatico, padrone assoluto del luogo. Del tempo.
Lo sai? aveva detto lei
È bello che noi non si viva insieme.
Poi l’acqua aveva continuato a saturare tutto.
Le voci, solo fruscii, solo gorgoglii, minuscole bolle d’aria vaporosa che trasalivano e risalivano
in superficie dal fondo del loro tumulto azzurro.
Quasi un canto d’alghe sottomarine. Una ribollente scia di cetacei lenti.
Tutto questo fluttuare senza posa, senza pause, senza meta e destino. Se non la direzione verso il fondo più fondo del loro essere uno. In due.
Saturi. Inglobati nella totale, conosciuta, ritrovata ritualità del pieno. Lo spazio prossimo all’esplosione.
E ancora e ancora e ancora.
Improvvisa, imprevedibile, ma forse no, prevedibilissima, inutile stare a inventar storie, dopo un’era geologica compiuta, la rottura dei confini.
Diga che crolla.
E sussulti e scrosci. E schianti.
A sentir bene, qualcuno doveva aver detto un Amore mio! O due. O tre. Forse. Ma chi?
E l’acqua, ora, una vasta distesa calma. Da scivolarci quieti, un lasciarsi portare come di foglia. Di zattera. Di vecchio tronco molle. Di barca alla deriva. Di sonno.
E riecco la voce. Le parole. Lui, adesso.
Sì. Proprio ieri ci pensavo, sai? bello questo nostro aver sempre tanto da fare. Bello che io non sia uno sfaccendato che, uno e due, ti chiede: vieni da me. adesso. Subito. Tutti i giorni. Dice.
Bello che invece…
No?
E lei aveva detto Sì.
Ché non aveva mai motivo, né tempo, né voglia
di dirgli, anche solo una volta: No!
…
…
…
(by poetella)
J.S. Bach- Prelude and Fugue in A Minor, BWV. 543.
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