Guarda, neanche la scrivo la parola. ché non c’entra affatto questo. È che ci si dispone sempre, sempre di più a guardare le nuvole che passano. A stupirsene. Ci si dispone a spiare le nuove nascite sulla rosa e persino sui pomodori!
E ci si lascia spalancare il cuore ascoltando ballate rinascimentali e poi, ancora, quel gatto nero, quel gattino che mi sa che stava male, che erano un po’ di giorni che non mi miagolava più a vedermi passare sotto l’androne e ieri, miao! Un miao festoso. Di saluto. Di coccola. Di condivisione. Condivisione. Splendida parola.
È che ci si dispone sempre, sempre più a farsi allagare gli occhi da questo cielo finalmente azzurro, che è maggio, diavolo! È maggio.
E dunque, che non ti venga in mente sia una mancanza di…
Che davvero non c’entra affatto questo. Come potrebbe mai essere, no? Che io lo sento, sai? lo sento questo ruscello che mi scorre dentro e saltella e si ferma e scende e allaga i pensieri di pace, di grazia, di dolce serena attesa di fronte a questa straripante meraviglia del mondo.
Hai visto, quest’anno, gli alberi? Anche i platani di via Nomentana mi pare stiano meglio. È tutto uno sventolare di fronde. E quante tonalità al vivaio sulla Tiburtina, e verdi e rosa e viola e gialli e fucsia e rossi!
Quanto, quanto gocciolare di profumi.
Ci si dispone a farci bastare [forse siamo già riusciti, no?] la molteplice varietà di Bellezza che ci circonda. E ce n’è! Se ce n’è! Avevi ragione, sai? La Bellezza è ovunque.
Non dico sia un allenamento. Una tattica. Un padroneggiato metodo di studio. È qualcosa di più fluido. Senza spigoli. Senza sforzi. Viene da sé, come imparare a camminare o a respirare.
Certo, il primo respiro sarà stato faticoso, ci sarà voluto uno schiaffetto d’avvio, ma poi…[schiaffetto?]
Quindi, che non ti venga in mente sia una mancanza di
Ma sì, diciamolo, d’amore. Diciamolo e ridiciamolo. D’amore.
Che io d’amore sono piena. Strapiena. Anche senza di te.
Non so. Innocenza? Chi mai? Di cosa, poi, innocenti. Siamo tutti colpevoli. Anzi, no, ecco. Tutti innocenti.
Come il frutteto.
Chi mai può deviare da un tracciato che sta già scritto nel sangue e nelle ossa, prima di ogni idea?
Di ogni decisione presa o da prendere.
Dove sta la vera, pura libertà?
Il libero arbitrio? Ogni scelta che si fa, ogni passo, ogni allargarsi di polmoni e stringersi di cuore non è forse l’unico, l’unico possibile, in quel preciso momento?
Altrimenti, no? Ovvio che. Direi.
E la serenità delle nubi, poi.
Non guardo le nubi per saziarmi di serenità. Io.
Anzi! Ché loro mi lasciano sempre una specie di tensione, in petto. Una voglia. Mille domande.
E stupore. Anche sorrisi, mica no. È sereno lo stupore?
La serenità è lago. Dicono che il lago deprima. Boh! No. Il lago è serenità.
Lo stupore, onda. mi pare.
Sospensione di.
Scombussolamento.
Il sopra, sotto.
Il sotto, sopra.
Sarebbe cambiato qualcosa se…?
Sarebbe stato tutto diverso? Maglio? Peggio? Diverso?
Non so.
So solo che si fa semplicemente quello che si può fare.
a guardare il cielo, la mattina?Che come si fa a camminaresenza guardarlo sempre cosìmutevole lui, così chiacchierone.
Ogni mattina, appena girato l’angolomi si spalanca straordinariamente vasto, così di più di tutto il resto, con tutte le sue risposte per me. Come un richiamo accorato.Un invito alla consapevolezza.
Oggi, per esempio, c’era un buco di luce, tra le nuvole, tante nuvole, nuvole grigio scuro. Un buco di luce. E luce ai bordi.. Era davvero molto bello
(tuttavia certo banale quest’ultima aggiunta.)
Le nubi bianche e grigiee nel buco l’azzurro che andava e veniva, tutto lo sconfinato attorno un vagare tranquillo, ghirigori di voli. Tremolio di foglioline nuove sugli alberi.
Tutto lo sconfinato attorno un vagare tranquilloproprio come il mio, passo dopo passo, una Berceuse di Fauré nelle orecchie, lieve vento sul visoe a smuovere appena gli angoli leggeri della giacchetta aperta ché questa primavera è ancora (anche lei) così garbata e gentile.
Così mite.
Solo in alcuni giorni in rari momenti ad unacerta ora
o particolarmente ottimista o magari essere una che si fa illusioni, in fondo mai fatte illusioni, le cose sempre viste con gli occhi ben aperti, e pure le orecchie, mai presa in giro, sempre pane al pane, vino al vino, almeno con me stessa, mai imbrogliata, mai infinocchiata, raggirata
e, comunque, non vorrei essere troppo precipitosa,
una che come vede una lucina subito la prende per il sole, o magari la luna o anche Venere, sì, Venere! Figurati! Lasciamo perdere Venere, che è meglio e non è proprio aria! Non è che sono una che, quando vede un minuscolo brillio lo prende per oro, o argento, o magari addirittura platino, platino! Figurati!
E dunque, stavo dicendo
Non vorrei essere troppo precipitosa,
una di quelle che se riesce ancora a correre dietro l’autobus e a prenderlo al volo pensa che gli anni per lei si siano fermati, le rughe non aumenteranno, il seno resterà tonico e tonico anche tutto il resto, per sempre, (che poi chi se ne frega se resta tonico, ché, che ci devo fare?)
insomma, e chiudiamola lì
Non vorrei essere troppo precipitosa,
ma mi sa proprio che non sono più triste, almeno per oggi, e probabilmente neanche domani, che non me ne importa più niente se non ti vedrò più. Che, per caso, mi dispiace se non andrò mai in America? O in Cina? Mi dispiace se non imparerò mai il portoghese, l’irlandese, mi da fastidio se non avrò mai una volpe addomesticata o un gatto, ecco, anche solo un gatto?
Ho molto. Molto altro. E non sto a redigerne l’elenco.
Strano come ancora oggi, oggi che le notti si riducono,
come lentamente si riduce la nostalgia dei bei giorni e tutto si diluisce, tutto sfuma, era lunedì, o magari martedì, forse martedì o mercoledì il giorno che vidi per la prima volta i tuoi occhi? E l’ultima?
Ancora oggi che tutto sfuma, tutto si diluisce
come i colori del giorno quando cala la nebbia o quello dei miei capelli sotto la tinta artificiale metafora di giovinezza
ancora oggi che, in fondo, la libertà non fu certo ponderata scelta,
ma semplice conseguenza dell’evaporare dell’amore, oggi mentre tutto sfuma, tutto si diluisce come le urgenze di bambina capricciosa, di gemma a primavera, di tuono lontano annuncio di temporale
ancora oggi, saltuariamente, serenamente, dolcemente, quasi sorridendo
Comanda a questo cielo che scenda Mi venga addosso
Comandagli.
Aspetto immobile che m’avvolga Mi contenga sbriciolandomi il sonno
Il buio non mi avrà mai. Figuriamoci se per sempre.
Questa parola per sempre non esiste
Non esiste che l’azzurro il volo Il planare il vorticare il cadere dentro un dentro più grande Un dentro più dentro quando divinamente, magicamente ancora noi.
Stavo insieme alla luce stamattina insieme all’aria
stavo trasparente leggera andavo spedita lasciavo dietro me come una gioia una traslucenza mi dicevo sei brava hai fatto per bene tutto quello che dovevi mi dicevo non hai fatto niente di quello che non. I passi erano perle attorno al giorno le ferite tutte chiuse
Sarà che sentivo caldo. Ieri hanno acceso i termosifoni e la casa era tutta un tepore. Troppo. Non mi piace il caldo. Mi piace l’acqua fredda sul viso, le mani no. Le mani le voglio sempre al caldo. Sì, sì, va bene, anche il cuore lo voglio al caldo. Non è mai troppo.
Comunque, mi sono svegliata prestissimo, stamattina
mi sono alzata e m’è subito venuta voglia di guardare fuori della portafinestra in cucina. La città brillava. La grande pioggia della notte aveva lavato tutto. C’era quiete, adesso. Niente più pioggia. Solo un luccichio di risveglio, qualche luce al palazzo di fronte e un tremolio , puntini e puntini vibranti verso i colli. Lontano.
Tutto silenzio.
Com’è diversa la città di notte. Come sembra che tutto scorra più lento. In attesa. E io stavo così. In attesa.
Poi il rumore del caffè che usciva m’ha tolto dai vetri appannati. E dai pensieri.
Un cantico azzurro un ricamo nell’aria vaghe lievi dissonanze armoniche di rosa di lilla di pallido grigio di bianco. Saremo sempre intrisi di cielo sempre intimamente sperando sempre intimamente frugando tra una nube e l’altra giocandoci.
E come non ricordare il desiderio di somiglianza il desiderio di appartenenza al lieve al vago all’incorporeo privo di dolore..
Vedo il cielo che racconta una storia lo sento cantilenare come su una culla e racconta sottovoce sempre più lento sempre più piano quasi un sussurro e intanto si tinge di notte.
Dormi, dice, adesso fa la nanna (lascia perdere se c’è rumore) (sono gli alberi che pregano) (sono gli angeli che si agitano) tu dormi.
Eppure solo qualche ora prima, forse un’ora e mezza, poco più, il cielo era una lastra di marmo grigio, pesante, noioso e una pioggerellina maleducata, senza carattere, senza grosse pretese comunque,
una pioggerellina, che pareva marzo e siamo a ottobre, scendeva indolente, sussurrando.
Poca voce, poca forza.
Poi, (mi viene voglia di credere ai miracoli, in questi giorni) dopo appunto forse un’ora e mezza o poco più
s’è spalancato un cielo azzurro, un cielo di promesse, un cielo di festa, di speranza, di gloria
e io camminavo e sorridevo.
I miracoli esistono, cari miei! Ne so qualcosa io. E non m’importa chi li fa.