(poetella piccola, la gemellina e la bellissima mamma)
Beh, è ora di scrivere qualcosa, no?
È per via che m’è tornato in mente un ricordino. Spunto da uno dei miei blog preferiti.
No, non lo cito che se no gli altri…beh…
Insomma, sorelle. Infanzia. Paure. La notte.
Leggevo come una matta, da piccola (ok, anche da grande)
C’avevo a disposizione, oltre ai libri che compravo, che mi comprava mamma su mia precisa richiesta, da una certa età in poi, oltre a quelli, le splendide antologie per le medie (allora erano splendide) che arrivavano a casa dai rappresentanti di libri che si prodigavano a consegnarli a mamma, insegnante di lettere, sperando….
E lì, ah, c’era di tutto. Roba da grandi!
E io leggevo. Di solito nel pomeriggio, finiti velocemente, più o meno, i compiti.
A volte la sera, prima di dormire, col librone nel letto.
Erano enormi quelle antologie! Un ammasso di godurie.
Ma una sera mi pentii amaramente d’averlo fatto.
Un racconto.
Un racconto che mi perseguitò poi nelle notti per anni. Dico davvero. Per anni.
Pure adesso, se ci penso…
L’autore non me lo ricordo. Solo il titolo. La forfecchia.
Già il titolo… che poi, magari, no. Magari poteva essere una cosa alla Fedro, che ne so.
Insomma, lessi.
Storia orribile.
Una bimba che dorme su un prato, col nonno vicino, che le aveva letto fiabe.
Immagine dolce, no?si continua.
Fino a che…la forfecchia. Che deve essere uno di quegli animaletti piccoli, con le antennine, un po’ trasparenti, veloci e orribili. Li odio.
E quella che fa? Si va a intrufolare nell’orecchio della bimba. E poi su. Fino al cervello. Fino a farla impazzire.
Ma dico io!
Ma si scrive una novella così, da far leggere a dei ragazzi adolescenti? E magari anche a quelli più piccoli, curiosi? Ok, ci sono quelli col gusto dell’orrido.
Non era il mio caso.
Non si dormiva più.
Si scrutava il letto in ogni angolino, prima. Si sperava che papà e mamma non spegnessero la luce prima del mio sonno.
Ci si augurava che l’immagine sparisse dalla memoria. Per giorni e giorni.
E guai se si spegnevano le luci nelle altre stanze. Guai. L’idea che tutti dormissero. Lasciandomi in balia di…
Non si dormiva più. Senza luci, niente. Che poi sarebbe bastato il sottile filo di luce sotto la porta chiusa. Ma senza neanche quello, niente.
In allerta. Ogni fruscio. Ogni impercettibile movimento d’aria.
Fino a ”Tata, vieni al letto mio?” una supplica.
E la gemellina paziente, in stato di dormiveglia, s’alzava, col cuscino tra le braccia, senza chiedere e s’infilava nel letto.
Fugando ogni paura. E scivolando, tiepida e serena, assieme a me, nel sonno.
Ecco.
L’ho raccontato.
Rimettiamoci a leggere, va’…
…
…
…
(by poetella)
Ashkenazy plays Chopin Etude op.10-1
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