Altri pensieri, altri accostamenti guardando le rose sconcertate per il vento
– pazienza, pazienza- ripetevano mentre dondolavano agitate da questo forsennato sconquasso
– pazienza, resistere. Non farsi strappare i petali carichi di bellezza, che poi, anche se, altri ne verranno, altro splendore, altra spumosa meraviglia. Basterà la cura.
E sì che ci sarà cura, come ci sarà cura per tutto il bello che mi levita in cuore, per tutto il profumo di speranze – quante e quante!
per la meditazione sulla molteplice, indescrivibile in fondo, creativa resistenza della gioia nel mondo, nonostante
Mi trabocca dentro una trama di gioia a questa moltitudine di accenti colorati e i rossi i viola gli azzurri i lilla e i gialli e ovunque spirali di verdi attorno ai raggi di sole
a guardare il cielo, la mattina?Che come si fa a camminaresenza guardarlo sempre cosìmutevole lui, così chiacchierone.
Ogni mattina, appena girato l’angolomi si spalanca straordinariamente vasto, così di più di tutto il resto, con tutte le sue risposte per me. Come un richiamo accorato.Un invito alla consapevolezza.
Oggi, per esempio, c’era un buco di luce, tra le nuvole, tante nuvole, nuvole grigio scuro. Un buco di luce. E luce ai bordi.. Era davvero molto bello
(tuttavia certo banale quest’ultima aggiunta.)
Le nubi bianche e grigiee nel buco l’azzurro che andava e veniva, tutto lo sconfinato attorno un vagare tranquillo, ghirigori di voli. Tremolio di foglioline nuove sugli alberi.
Tutto lo sconfinato attorno un vagare tranquilloproprio come il mio, passo dopo passo, una Berceuse di Fauré nelle orecchie, lieve vento sul visoe a smuovere appena gli angoli leggeri della giacchetta aperta ché questa primavera è ancora (anche lei) così garbata e gentile.
Così mite.
Solo in alcuni giorni in rari momenti ad unacerta ora
o particolarmente ottimista o magari essere una che si fa illusioni, in fondo mai fatte illusioni, le cose sempre viste con gli occhi ben aperti, e pure le orecchie, mai presa in giro, sempre pane al pane, vino al vino, almeno con me stessa, mai imbrogliata, mai infinocchiata, raggirata
e, comunque, non vorrei essere troppo precipitosa,
una che come vede una lucina subito la prende per il sole, o magari la luna o anche Venere, sì, Venere! Figurati! Lasciamo perdere Venere, che è meglio e non è proprio aria! Non è che sono una che, quando vede un minuscolo brillio lo prende per oro, o argento, o magari addirittura platino, platino! Figurati!
E dunque, stavo dicendo
Non vorrei essere troppo precipitosa,
una di quelle che se riesce ancora a correre dietro l’autobus e a prenderlo al volo pensa che gli anni per lei si siano fermati, le rughe non aumenteranno, il seno resterà tonico e tonico anche tutto il resto, per sempre, (che poi chi se ne frega se resta tonico, ché, che ci devo fare?)
insomma, e chiudiamola lì
Non vorrei essere troppo precipitosa,
ma mi sa proprio che non sono più triste, almeno per oggi, e probabilmente neanche domani, che non me ne importa più niente se non ti vedrò più. Che, per caso, mi dispiace se non andrò mai in America? O in Cina? Mi dispiace se non imparerò mai il portoghese, l’irlandese, mi da fastidio se non avrò mai una volpe addomesticata o un gatto, ecco, anche solo un gatto?
Ho molto. Molto altro. E non sto a redigerne l’elenco.
E intanto sorridevo camminavo soletta e sorridevo piano mentre s’affacciava la tua voce che Allora festeggiamo, no? dicevi, e io Adesso? Certo. Adesso! dicevi tu
Stavo insieme alla luce stamattina insieme all’aria
stavo trasparente leggera andavo spedita lasciavo dietro me come una gioia una traslucenza mi dicevo sei brava hai fatto per bene tutto quello che dovevi mi dicevo non hai fatto niente di quello che non. I passi erano perle attorno al giorno le ferite tutte chiuse
i fiori, certo, i fiori, ma non solamente i fiori e la musica, la musica, certo, la musica, ma non solamente la musica e le belle giornate, certamente, le belle giornate e l’aria fresca e ancora niente caldo, ma non solamente le belle giornate e l’aria fresca e niente caldo questa sensazione di benessere, di tana libera tutti, di voglia di respirare fondo, voglia di assaporare fondo, voglia intensa di camminare, di andare, di ricominciare, di aprire le mani e lasciar volare via, di guardare il cielo, ah, il cielo! le nuvole, ma sì, si sa quanto io ami le nuvole, mi amano le nuvole? Problema loro
Che poi, a pensarci bene,
i fiori, certo, i fiori, ma non solamente i fiori, e la musica e l’aria fresca e niente caldo, non è solo da lì questa voglia di sorgente, di acqua limpida, di profumo di vento, di pioggia, di ricordi nuovi da collezionare, c’è posto ancora per nuove collezioni, guarda quanto spazio! Evapora questa debolezza di convalescente che guarisce, vedi come guarisco? Vedi come sto diventando forte?
Eppure solo qualche ora prima, forse un’ora e mezza, poco più, il cielo era una lastra di marmo grigio, pesante, noioso e una pioggerellina maleducata, senza carattere, senza grosse pretese comunque,
una pioggerellina, che pareva marzo e siamo a ottobre, scendeva indolente, sussurrando.
Poca voce, poca forza.
Poi, (mi viene voglia di credere ai miracoli, in questi giorni) dopo appunto forse un’ora e mezza o poco più
s’è spalancato un cielo azzurro, un cielo di promesse, un cielo di festa, di speranza, di gloria
e io camminavo e sorridevo.
I miracoli esistono, cari miei! Ne so qualcosa io. E non m’importa chi li fa.
…………….. quando le parole se ne vanno e tornano vuote di risposte, quando i richiami restano inascoltati come inascoltato è il vento forte dietro i doppi vetri e tutto è silenzio, quando non c’è eco, non c’è neanche una minuscola coda sonora
quando tutto intorno è un vociare incomprensibile, come incomprensibili sono i versi dei gabbiani che chissà che diranno mai, chissà che vorranno mai dire
…………….. quando le parole se ne vanno e tornano e non portano niente, a mani vuote come un ospite indelicato, quando le parole si stancano quasi di esistere come si stanca di esistere il desiderio, il sogno, il perdono
. Come una preghiera questo slancio di rosa dell’ippocastano, quasi un grazie di esserci, mille bocche a bere luce, instancabilmente assetate Preghiera detta e ridetta verso il cielo così delineato d’azzurro.
Guardiamo il suo fiorire che si ripete ad ogni primavera come un saggio invito. Il solito invito a… Lo sappiamo. Lo sappiamo e impariamo. Intrappolati nel miracolo della bellezza che ogni volta, limpida, si riaccende.
. Dunque, vedi come ricomincia tutto di nuovo? E sì che la giornata, apparentemente, grigia. Sgocciolio di pioggia già per tutta la durata della notte. Al mattino presto i sottovasi colmi d’acqua la testa colma di presupposti. Ci si penserà più tardi. Ora fuori! E la strada lucida lucida col riflesso dei fari a farla palpitare e intanto sorridere camminando veloce, l’ombrello aperto riflessi di rosso nell’aver qualcosa da aspettare. Quello il segreto. Anche la musica in cuffia più gradevole del solito. Pensa!
[comunque non cominciamo a farci illusioni, carina. No, no! Hai imparato, vero? Sarà vero?]
Eppure, camminare come volando. Tutto sta ricominciando. Strano che sia esattamente come quella volta. Dicono che sette sia un numero Karmico. Sette giorni, sette mesi, anche sette anni. Già. Sette anni.
Stavolta, settantasette volte sette più saggia. Giuro. … … …
La primavera che s’infila tra i passi, stamattina. Accelerare per tenere il ritmo della viola. Tralla – lalalla – la la la la là- Mi viene da sorridere, pensa te!
La primavera ha bussato ed è entrata. Gentile, lei. Portando doni.
Che stupore ogni volta che.
Non ci si abitua mai all’emozione, schiaffatelo in testa. E ce n’è da… ce n’è.
Sarebbe singolare abituarsi, no?
Dunque. Procediamo.
Che poi io lo so che non è solo in questo concerto di fiori. Anche il primo papavero, stamattina.
Non è solo in questo slargo di cielo. O nei voli.
È anche, chi l’avrebbe detto? in quei due grandi occhi scuri, sguardo schietto, pagina miniata di sottili, misteriose meraviglie. Tutte da scoprire. Si ricomincia l’avventura?
Quei due grandi occhi scuri che da un po’…
Anche stanotte, per dire, in sogno…
…
…
…
(by poetella)
(beh, la formattazione è un po’ scadente, ma sono a scuola, in un’ora di buco, con un pc giurassico… sorry!)
Niente di meglio che… Come fosse possibile fuggire. Figuriamoci!
accendere una sigaretta e guardare lontano. Lo splendore del tramonto sui colli. A che serve fuggire?a che sarebbe servito? Aveva avuto informazioni certe dal genio che le dormiva in petto. E ogni tanto si svegliava per darle un buffetto. Ehi! Ehi! Dai… Ma sì, dai!
La musica le risuonava nelle orecchie. E dopodomani sarebbe arrivata la primavera. Ce n’erano già da un po’ le avvisaglie. Dunque, andiamo! Si riapra la caccia. Al fiore, al tepore. A nuovi sguardi. A nuovi occhi. Già s’allineavano le prede. (chi l’avrebbe detto! Una tale varietà di selvaggina!) Bastava, sarebbe bastato puntare. Con attenzione. Mirare bene. Concentrata. Poi scoccare.
Un luogo familiare. Dove ogni mattina cammino e cammino. Attenta. Occhi e cuore e mente aperti. In attesa. Non si sa bene di cosa. Ma se non… Cammino, dall’autunno all’estate, passando per inverno e primavera. Ah, la primavera! Cammino, anche con la poggia. Con la neve. col ghiaccio no. Ho paura. Ché già sbando, oscillo, vacillo, scivolo di mio. Meglio non rischiare su supporti poco sicuri. Meglio un piano di certezze. Che poi, figurati! Quali certezze? Che si sgretolano con un niente. Una minuscola vibrazione. Le famose ali di farfalla a chilometri e chilometri. Ecco che nome dovrò dargli. Ali di farfalle. Così il motivo del crollo delle certezze farà meno paura. Apparirà sicuramente meno minaccioso. Meno fumo nero che oscura il sole.
Tuttavia, diciamolo: il crollo di una certezza da sicuramente modo ad un’altra di consolidarsi. La verifica, per lo meno. Ma sto andando un po’ fuori del seminato.
Si scriveva di un luogo conosciuto, abituale, in una delle prime, fresche, mattine d’autunno, luogo che è riuscito, guarda caso, nel suo intento (suo?) di stupirmi. Volente o no. Chi lo sa mai?
Dunque, nelle orecchie quell’Amapola arrangiata da Morricone. Partono i violini, guardo su e contemporaneamente sette, otto, dieci, di più? voli, un ventaglio nero nell’attimo di aprirsi e fare fresco, a tempo di musica. Il cielo terso, azzurro, immobile.
Poi increspato come da un trasalimento, un cedimento di nitidezza, uno sgranare di messa a fuoco. Increspato come da un velo d’acqua.
Come ti sembra questo sonaglio che m’allerta il cuore questo sventolio di bandiere questo tramestio questo sbocciare continuo di risvegli come ti sembra? Fuori luogo, forse?
Siamo d’altronde così propensi a sorprenderci di come ancora e ancora e poi ancora, ma
comprendimi! davvero è sempre una novità questa vita che sovrapponi alla mia ogni volta, ogni volta come un guanto di pizzo, come un tulle di culla
davvero è realtà che preme alla gola che meglio tacerla, la gioia
Questo mio stare tuttavia come di vedetta a sorvegliarmi i pensieri spiare la luce che mi viene da dentro prendere spunto dagli schiaffi del vento e dunque assestare il passo e Bach aiuta, eccome se aiuta! a bruciare cataste di foglie cataste di vecchie storie di vecchie foto. Che lo vedi? non mi somigliano più. Espressione troppo dubbiosa o troppo fiduciosa. Guarda adesso i miei occhi. Altra roba. Vero?
Osservami, controllo il pendio della strada in salita senza più scivolare senza indietreggiare.
Camminiamo affiancati su due scie di cometa amico mio, alti, lontani oltre le vette le valli e i traffici meschini dei giorni.
E m’affido al tempo al chiaro del cielo e a te, il più amato maestro e a questa me che da dentro mi chiama per nome e sorride.
E intanto cresce. Ancora e ancora. E ancora. … … …
tirare fuori e stare a guardare e cercare di dare nome corpo forma credibilità ( sarà successo davvero?) magari un sogno un miraggio un ghirigoro di bellezza sul vetro degli accadimenti delle utopie delle proiezioni di speranza, che ne so?
A pensarci e ripensarci ecco,
oltre che rivivere ritornare al cospetto dei fatti (fatti?)ricostruire una tela ad olio, no, un acquerello, meglio una sanguigna con toni di biacca, oltre che a ritrovare il sorriso da dea beata, oltre che spazzare via tutto il quotidiano grigio imprigionato e poi liberato da tutte le ragnatele della noia del devo dell’adesso dello sbrigati che fai tardi, oltre che spazzolare la polvere accumulata in un giorno (solo un giorno?)sopra il cristallino splendore della gioia
a pensarci e ripensarci ecco che
s’è delineato il cosa, il come, il com’era, quanto era. Era. O è? È, certo, ancora è e sempre ché ormai è lì, imprigionato nel ricordo, tassello irremovibile, come uno svuotarsi, un tirare su col secchio e riversare, un trasmigrare da quella tua bocca alla mia, da quel tuo petto al mio, da… ok, non serve precisare oltre. Senza paragone, come dice Gherardo Bortolotti, come un propagarsi di trasalimenti, uno svernare anche se è indubbiamente estate, ancora, come un albero invaso dai passeri, un campo di girasoli intriso di luce, un’onda alta e sull’onda un’altra onda e ancora un’altra e ancora. E poi e poi e poi. E poi non riuscire. Le parole dovrebbero brillare come brilla quel ricordo, invece d’essere nere e piccole e veloci. No, meglio non dire niente. E tenere tutto lì.
(foto di poetella) (il cielo, stamattina, era promessa)
Che mica potevo tornare a casa
con quella pioggia d’oro appiccicata addosso. Brillavo troppo per chiudermi in un interno senza dare nell’occhio, senza abbagliare, incuriosire. Senza che uscisse luce come da un faro dalla finestra ancora aperta ché è ancora estate ancora chiaro fino a tardi non si accendono le luci cos’è quella luce così accecante quel riverbero quello scintillio da dentro a fuori dagli occhi dalle mani da tutta la pelle dalle labbra dal cuore.
Mica potevo tornare a casa
Dovevo camminare un po’ lasciare evaporare fluire lasciar disperdere tutti i filamenti tremanti d’ambra di goccioline d’avventurina stellata di miele di polvere di fata di lapilli. Di onde concentriche e poi alte e fragorosamente frangenti sull’intero universo. Affogato d’amore.
Allora ho camminato. A lungo. Sono entrata e uscita da negozi e negozietti. Ho comprato del concime liquido molto potente. Già provato. Funziona. Poi un profumo. E dei sali esfolianti. Magnolia e gelsomino. Per… Dunque sono rientrata. Ho preparato la pappa per le piante. Godessero un po’ anche loro. Poi ho preso una fetta di pane nero, ci ho messo sopra del salame piccante, molto piccante. Accanto un bel bicchiere di Bonarda. Mi sono seduta in balcone. Ho chiuso gli occhi. Ed ho prolungato ancora un po’ il piacere. Perché io sono un’ingorda.