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Poetella's Blog

~ "questo sol m'arde e questo m'innamora"- Michelangelo

Poetella's Blog

Archivi della categoria: fiabe

una fiaba…con le ali…

19 domenica Gen 2014

Posted by poetella in fiabe

≈ 22 commenti

Tag

amore, fiabe, ti amo

nuvole1

(foto di poetella)

 

 

C’era una volta, in un paese lontano lontano che non ricordo, tuttavia, quale fosse, ma in fondo non ha importanza, no?

Dicevo, c’era una volta una Bellaprincipessa. La principessa delle farfalle.

 

Viveva, la poverina, in una splendida reggia stracolma di meraviglie, ma così umida, così terribilmente impregnata di muffe gocciolanti, che le ali, le sue belle ali di mille e mille colori,

preziose e profumate s’erano irrimediabilmente, inesorabilmente, inguaribilmente bagnate talmente tanto che lei, la poverina, non poteva mica volare. Con quel peso addosso, passava ore e ore alla finestra, faceva timidi tentativi salendo su una sedia, ma…niente. Le ali gocciolavano pesanti e molli e non se ne parlava proprio di alzarla in volo. Scendeva dalla sedia, con un saltello e si rimetteva alla finestra.

Triste triste. Sospirando.

Tutt’attorno muffe e gocciolii sui bei tappeti, sulle porcellane e sugli arazzi, sugli avori e sugli argenti appannati e sui cristalli lucidi e sui broccati freddi e zuppi, sui legni intagliati e dorati.

Sulle tele antiche sapientemente dipinte.

Tutto un grondare malinconico e sconsolato. Misto alle sue lacrime dolenti.

Addirittura il re, suo padre, aveva ordinato alla servitù che mai, mai s’aprissero le finestre, ché lei avrebbe potuto tentare il volo. E sarebbe di certo morta spiaccicata sulla regale corte interna.

E sì che lei avrebbe voluto conoscere il mondo, sorvolarlo dal tramonto all’alba, dal crepuscolo alla notte, affamata di stupore e conoscenza. Ma…niente da fare.

Oltre tutto quelle finestre serrate non facevano altro che peggiorare inesorabilmente la già compromessa atmosfera muffa della reggia.

 

Tuttavia un giorno arrivò, che arriva sempre qualcuno nelle fiabe, no? a scombussolare l’esistente, arrivò così nel cielo attorno al palazzo un giovane, libero gabbiano con gli occhi grandi e azzurri.

Volando volando passò davanti alla finestra chiusa della camera della Bellaprincipessa. E la vide.

E la vide e la amò. Subito. Come si conviene nelle fiabe che si rispettino.

L’amò e la guardò con quei suoi occhi grandi e azzurri volando volando e lei se ne accorse e sentì il calore di quello sguardo. Il bruciare di quello sguardo. Mai visto uno sguardo così.

E lui disegnava degli otto, in cielo, degli otto orizzontali, infiniti otto

e la guardava.

Ad ogni sguardo lei sentiva il calore passarle dagli occhi alle guance, alle braccia,  alle gambe, e poi su, al cuore.

E, certo, alle ali.

E le ali si asciugarono.

La Bellaprincipessa allora ordinò, ché era una principessa si o no? Poteva ordinare, sì o no, dico io! Certo che poteva. E così ordinò che s’aprisse

immediatamente la finestra della sua camera.

Immediatamente. E la finestra fu aperta. E lei mosse le ali, flap, flap, flap… uno, due, tre, fuori!

Immediatamente fu fuori e si posò sull’ala del gabbiano e lì rimase.

E non si sa bene se si mettesse a volargli accanto o rimanesse su quell’ala.

 

Si sa solo che sparirono insieme.

 

Si dice anche che, non ci crederete certo,

ma si dice che stiano ancora volando. Ecco.

…

…

…

(by poetella)

Over the Rainbow – Israel Kamakawiwoole

 

 

 

 

 

 

 

.

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Ma no, come faccio?

20 mercoledì Nov 2013

Posted by poetella in amiche, amore?, assenza prersenza, atmosfere magice, Bellezza che salva, emozione, felicità, fiabe, foto di poetella, Hymne à l' Amour...., J.S:Bach, le cose importanti, passione, poesia

≈ 17 commenti

Tag

Bella Venezia, dimmi

IMG_3758

(foto di poetella)

 

Qui la voce di poetella

…e ascoltate, che è più bello, no? dai…

 

 

Ma no, come faccio? Come faccio a raccontarti, amica mia.

Ieri, sì. Ieri.

Ti dico che no, non posso raccontare

l’indicibile.

 

Tu, piuttosto. Racconta tu.

Dimmi di Venezia, c’era il sole? Bella Venezia col sole, d’inverno

Dimmi  di voi, di te. Il dottore? Dimmi dei gatti  a rivederti e della casa

nuova.

E della cura. Parla.

Parlami tu, cara.

 

Dammi la mano e riportami su questa terra.

Ché ancora la testa mi gira, mi gira

per l’altitudine, la vertigine di quei miei mondi ritrovati

per un po’

e oggi è oggi.

…

…

…

(by poetella)

 

 

 

 

 

 

 

.

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Che poi, ogni tanto, ci penso…

16 sabato Feb 2013

Posted by poetella in amore?, assenza prersenza, biografia..., desideri..., diario, fiabe, foto di poetella, Hymne à l' Amour...., le cose importanti, musica, poesia, quasi racconti, un nuovo romanzo.

≈ 32 commenti

Tag

amore, racconto, romanzo, una storia molto importante, voglia di scrivere

IMG_1422

(foto di poetella)

 

 

Che poi, ogni tanto, ci penso.

Ci penso che sì, la vorrei proprio scrivere ‘sta storia.

Tutta. Dall’inizio.

Che poi penso ma a chi gli frega di questa storia?

Chi potrebbe mai essere interessato a leggerla.

Sì, va be’, mi dico, una storia è una storia.

 

Poi uno, magari, ci si ritrova. Che ne sai? che è questo il bello delle storie scritte, no?

E poi, però, ma come la scrivo, mi dico.

Scrivo proprio tutto?

Dall’inizio?

 

Scrivo come è cominciata e tutto quello che è successo, in fondo sono quasi cinque anni.

È un bel periodo. Ci verrebbe proprio giù una bella storia. Magari un racconto breve.

O  lungo. O un corto romanzo.

O magari pure lungo, se ci metto proprio tutto. Anche  senza inventare niente.

Ma ce lo metto come?

Potrei fare che sono io che racconto. Ma a chi?

Ecco, potrei fare come quello splendido libro di Antunes, sì, In culo al mondo, che lui racconta  a quella tipa che non parla mai. Ma si capisce che quella ascolta. Si capisce da quello che scrive lui.

Che lei non sa niente perché si sono conosciuti in un bar, tutti e due con la voglia di ubriacarsi. Tutti e due maledettamente soli.

Ma io non ci vado nei bar ad ubriacarmi. Per adesso, per lo meno.

E allora?

Che faccio? Scrivo che incontro un’amica che non vedo magari da dieci, quindici anni, che riciccia per qualche strano intruglio del destino e vuole sapere. Lei.

 

Ecco. Ci troviamo e io le racconto. Tutto.

Da quando ci siamo lasciate a quello che ho fatto, chi ho conosciuto e piano piano, arrivo a lui.

Lui!

E butto fuori tutto.

E quella ascolta. Zitta. Magari ogni tanto le faccio dire qualcosa. Ma  no a lei. Lo faccio capire che dice qualcosa. Io le so fare ‘ste cose.

Potrei fare così.

Poi ci potrei ficcare anche altro, pensierini, considerazioncine, sì, insomma, qualche svolazzo poetico. Tutta la mia rinnovata, oppure no? Ma sicuro che s’è rinnovata? O era già tutta così? Boh!

Beh, tutta la mia filosofia di vita.

Magari verrebbe fuori una bella cosa.

Che ne so.

 

Ci penso, ok?

Poi, vediamo.

…

…

…

(by poetella)

 

 

An Affair To Remember

 

 

 

 

 

 

.

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Faber…

11 venerdì Gen 2013

Posted by poetella in amore?, Bellezza che salva, Fabrizio De Andrè, fiabe, musica, poesia

≈ 18 commenti

Tag

faber, poesia

 

caro Faber… sei in noi… resti in noi. Ricordo di giovinezza

 

(by poetella, grata)

 

 

.

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l’alchimista…

05 lunedì Nov 2012

Posted by poetella in alchimia, atmosfere magice, consapevolezza, crescere con l'amore, dolore che guarisce, fiabe, foto di poetella, le cose importanti, libertà, musica, poesia, Scriabin

≈ 9 commenti

Tag

alchimia, anima, oro, pietra, scriabin

(foto di poetella)

 

E allora? Voglio essere io, sì,

io alchimista, io  creatrice,

io  trasformatrice.

Pietra  viva che mi abiti, sublima!

Io che rigenero strutturo riconosco.

Benevolo e attento il mio gua(r)dare.

 

Il pieno e il vuoto.

Il chiaro  lo scuro

Il basso e l’alto

Il Tutto Uno

Illumina e scurisci, scruta. Solleva, taglia  ricuci. Capisci.

E allora? Voglio essere io, sì,

 

io,  comprender(e)mi, stanare svelare congiure ritorte

attorte sepolte

calare in fondo all’oblungo pozzo

toccare il suo ignoto dentro

d’acqua viva gelata

zampillante

 

E su, poi, su fino in cima. Riemerge conoscenza

Occhi al lontano e al dentro.

Occhi socchiusi

niente distrazioni

cuore aperto mani aperte mente aperta

senza paura. Mai.

E allora? Voglio essere io, sì,

 

sì. Calibrare la fiamma, soffiare e coprire.

E aria, aria tra le righe dei giorni

Distanza e calore. Fumo che sale.

Aria e fuoco e terra salda. Da cui staccarmi e guardare

con speranzoso sguardo.

 

È fusione che cerco

Affin-azione-sublim-azione

 

Dalla forma all’essenza

D’apparenza a sostanza

nel crogiuolo del tempo,

silenziosa. Presente.

 

Perché splendido mi brilli l’oro

 

tra le mani. Tra i capelli e nell’anima. O no?

…

…

…

(by poetella)

 

 

 

 

Scriabin Etude op.8 no.12.

 

 

 

 

 

 

.

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musica!

26 venerdì Ott 2012

Posted by poetella in Bellezza che salva, dai blog amici..., emozione, fiabe, musica, poesia, Sigur Ros

≈ 6 commenti

Tag

http www youtube, musica, Sigur Ros

da un blog amico…molto amico…

 

 

 

 

 

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ripescando…

17 mercoledì Ott 2012

Posted by poetella in amore?, atmosfere magice, crescere con l'amore, emozione, fiabe, foto di poetella, le cose importanti, poesia, quasi racconti, un nuovo romanzo.

≈ 7 commenti

Tag

il mare, primo amore, ragazzi, voce bella

(foto di poetella)

(riordinando un po’ appunti per…un nuovo romanzo: “La vita nel telefono”..ma mica lo so se poi il titolo…beh, vedremo)   

————————————————–

Sergio aveva gli occhi azzurri.

E lo sguardo sempre aggrottato.

Forse perché era miope. E gli occhiali, al mare, proprio no.

Quindici  anni e le gambe lunghe e magre. E le spalle larghe come una statua di Donatello. Giovane, bello e fiero.

                                  Suonava la chitarra. Bene. Benissimo. Alla spiaggia, il pomeriggio, c’era sempre un crocchio, attorno. E lui suonava.

Laura se lo guardava di nascosto Madonna che bello che è, e se lo sognava la notte.

E anche il giorno, pure quando c’era, sempre se lo sognava.

                               Lui suonava e lei spingeva i piccoli seni in fuori, nel costume rosso, piccolo piccolo, mentre cantava, con davanti il mare. Ma mica lo faceva apposta.

O forse sì.

E gli guardava le mani. E gli altri non c’erano.

C’erano, ma non c’erano.

E lui si guardava le mani, sulle corde della chitarra.

Come se non sapesse dove metterle. Le mani. Ma lo sapeva, invece. Per questo le teneva sulla chitarra. Solo che.

Quindici anni.

Ogni tanto si sbirciavano. Poi di nuovo a guardarsi le mani.

A toccarsele con gli occhi.

                                   E lei cantava, voce bella, e i capelli glieli muoveva il vento, lunghi lunghi e neri e lucidi. C’era da perdere la strada a seguire quelle oscillazioni. A star dietro alle ciocche leggere. Lacci che annodavano pensieri.

E scioglievano desideri.

Ogni tanto lui tirava su la testa. Era come un tuffo in acqua, dall’alto.

A mani unite.

E sarebbero voluti scappare via.

No. Restare.

No. Sparire.

Sprofondare nella sabbia.

Dissolti.

Insieme.

                          Respirava fondo Laura, e quei seni piccoli si gonfiavano ed era peggio.

Lui si guardava le mani e sbirciava i seni. E arrossiva.

Suonava, sguardo aggrottato, tutto rosso e zitto. La testa di nuovo bassa.

Guardami, guardami che suono per te.

E l’aria attorno era tesa. Tutto era teso e il sole scottava ancora e giocava coi grani di sabbia. Ci affondava come mani nel capelli.

Poi, qualcuno Basta chitarra, dai! Chi viene al promontorio?

E s’erano alzati tutti e il sole cominciava a tramontare.

                        Lei non aveva mai baciato sulla bocca uno che le piacesse.  

Solo alla festa, due mesi prima, che una guerra per convincere il padre a mandarcela, con i genitori nell’altra stanza a giocare a carte e ogni tanto venivano a curiosare, con la scusa di vedere se erano finiti i panini, e Non si balla così stretti. Ti pare?

E il padre la guardava brutto. E lei si staccava. E guardava il padre che spariva nell’altra stanza. E allora si riappiccicava. Insomma alla festa s’era trovata sulla sua la bocca di Ugo.

Ma Ugo era ciccione. Simpatico e ciccione. Caciarone, casinaro e ciccione.

Non le era piaciuto.

S’era portata dietro il ricordo viscido di quell’intrusione. Lo schifo.

Aveva bevuto un sacco di coca cola, dopo, e mangiato quattro panini col tonno e uno col salame. E pure un bignè con la cioccolata.

Non bacio mai più, aveva giurato. Mai, mai più. Che schifo.

Ma Sergio.

Era bello. Tutto abbronzato. Con le cosce muscolose. Faceva calcio. Attaccante. Segnava un sacco di goal. Gliel’aveva sentito raccontare a Tony.

E le spalle larghe. E la bocca rosa. Dio che bocca. Se mi baci tu, allora sì, allora sì, allora sì.

                                        S’erano mossi tutti, verso il promontorio, che poi non era un promontorio. Chissà perché lo chiamavano così. Era la foce del canale che finiva nel mare e c’erano detriti, bottiglie vuote che galleggiavano, cicche, pure una bambola senza braccia, una volta. E una ciabatta. Come aveva fatto chi l’aveva persa a tornare a casa con una ciabatta sola? E una specie di molo dove ci si poteva sedere e guardare l’acqua che cantilenava molle e lenta. 

                          Camminavano sulla riva, tra le onde fresche. Camminavano calmi e allegri con l’acqua che bagnava le caviglie e schioccava e spruzzava ad ogni passo. Chiacchieravano tutti. Scherzavano. Si schizzavano. Loro due no. Camminavano e zitti. Muti con un turbine di domande che  stingevano la gola. Che infiacchivano le gambe. Che tagliavano il respiro.

Il sole tramontava, addormentandosi come un leone stanco.

Lanciando ruggiti.

                    Il mare sconfinava negli occhi di Sergio. E le camminava vicino. Zitto e teso come un arco.

Faceva quasi male a guardarlo.

…

…

…

(by poetella)

Andres Segovia – Classical Guitar – Chopin Prelude

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La senti? La senti questa musica?

16 domenica Set 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, Bellezza che salva, desideri..., emozione, fiabe, foto di poetella, le cose importanti, musica, Musica Antiqua, poesia, quasi racconti

≈ 19 commenti

Tag

musica antiqua

(foto di poetella)

 

Ascolta poetella

 

 

 

La senti? La senti questa musica?

Non trovi ti entri nella pelle, nel sangue? Non trovi che smuova la polvere del tempo? soffi su come un mantice a spazzare via ore e giorni e anni. Ti inviti alla danza.

Sono forse pazza se ti dico che vedo scendere un sipario su tutto questo mondo greve, volgare e chiassoso. Sì,  se ascolto scende un sipario e oscura per poi rialzarsi, ecco,  con un bel cambio di scena.

Com’era? Le dame i cavalier l’arme e gli amori.

Sì. Questo. Radure infiocchettate, stendardi e cavalli. Giochi, danze.

Cortesie cortesi di cortigiani gentili.

Sorrisi garbati. Fiori. Menestrelli e ore quiete nel fresco delle mura. Le mura! Ah, le mura!

Nostalgia delle mura in una città di muri. Ho nostalgia. Di mura.

Nostalgia di spazi immensi. Pietra. Velluti. Sete. Preziosità di mani operose, esperte. Senza vanagloria.

Un fare giudizioso e contratto. Esigente. Attenzione al minuto. Anche all’infinitamente piccolo. Senza errori.

E il tempo. tutto il tempo per un fare perfetto.

Cattedrali e mostri di pietra. Su, in alto. Precisi, magistrali, a farsi valutare solo dai piccioni.

 

La senti? La senti questa musica?

Non t’invita? Non senti i piedi che si muovono?

Guardami.  Sto ballando nel mio sogno antico. Con grazia.

Dov’è oggi la grazia? C’è ancora chi cerca la grazia?

C’è ancora chi cerca la maestria? L’idea ardita? L’assoluta impeccabile esecuzione

Mi prende questa malinconia, questo struggimento, in questo mondo di pressappochismo, di dilettantismo scialbo, d’improvvisazione banale. Mi prende questa nostalgia di bellezza.  Senza vanità.

Chi ha costruito, chi ha tessuto, chi ha dipinto, chi ha scolpito quelle meraviglie? Solo a Chartres

sono rimasti i nomi. Non serviva. Allora non serviva firmare. Lasciare scritto Sono io che l’ho fatto. Bastava il fare. Si doveva fare. E al meglio. Quello era il premio.

La ricompensa. Bastava. Senza cercare il plauso.

 

Che mi metto a pensare, oggi.

È la musica.

La senti? La senti questa musica?

 

Colpa della musica. Ecco. Sicuro.

…

…

…

(by poetella)

 

 

.

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Poi era scappata via…

29 martedì Mag 2012

Posted by poetella in amore clandestino, amore?, assenza prersenza, atmosfere magice, Bellezza che salva, biografia..., crescere con l'amore, emozione, fiabe, foto di poetella, quasi racconti

≈ 6 commenti

(foto di poetella)

 

Poi era scappata via, la porta che si chiudeva dietro di lei, ancora il sorriso.

Le scale, a piedi. Troppo ferma, in ascensore. Doveva camminare. Muoversi. Veloce.

Al primo pianerottolo, una sigaretta. E giù, di corsa, per le scale. Fino a fuori. Ancora chiaro. Neanche una nuvola. Gente in giro. Gente ferma a chiacchierare. Gente che entrava nei negozi.

E lei che scivolava come un’ombra. Le sembrava di sorvolare il terreno. Di scorrere come fiume calmo, colmo. Lento. Consapevole.

Tutti i gesti, le parole, Che bella che sei! Tu, bello, tu! Lo sfiorarsi, il serrarsi, il guardarsi. I capelli sugli occhi, la pelle sotto le labbra. Le mani. Le mani! Le gambe, le braccia, il collo, le spalle, quel petto largo, l’impasto di sussurri, il sudore. Quel darsi parossistico. Come fosse la fine.

Straziarsi. Sfinirsi. Sfibrarsi. Provvista di piacere. Di Bellezza.

Tutto che le rimbombava dentro, che cantava, che urlava. Coccolava, addolciva. Ancora  di più.

 

Ripensava a tutto e tornava a viverlo. Le parole! Tornava a viverle, per strada, alla fermata dell’auto. Riascoltava quella voce. Sull’auto, tra gli scossoni, i fiati, la stanchezza e gli odori della giornata degli altri. E il suo profumo. Ancora il profumo addosso. Il profumo che copriva tutti gli altri odori. I pensieri che coprivano tutti gli altri pensieri. Le sensazioni ancora nella carne, che coprivano tutte le sensazioni. Poi in metro. Aveva aperto il libro, ne  portava sempre uno  dietro,  poi richiuso. Niente libro. Non c’era posto per niente.

Tutta la mente occupata a rivedere, ricostruire, riproiettare percezioni, emozioni, sussulti di meraviglia.

Niente libro. E niente messaggio. Silenzio. Aveva imparato.

Granello  a granello, riedificava il desiderio.

Lo nutriva. Lo custodiva e alimentava.  Fino a

…

…

…

(by poetella)

 

Ciaikowski – Panorama

 

 

 

 

 

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visto la luna, stasera?

05 sabato Mag 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, Bellezza che salva, Bellezza della natura, camminare guardando, emozione, fiabe, foto di poetella, la luna, poesia

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i miei fiori…

03 giovedì Mag 2012

Posted by poetella in Bellezza che salva, Bellezza della natura, felicità, fiabe, foto di poetella, le cose importanti, poesia, primavera

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Poi era finita…

23 lunedì Apr 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, biografia..., emozione, fiabe, foto di poetella, le cose importanti, quasi racconti

≈ 12 commenti

Tag

amor che a nullo amato amar perdona

(foto di poetella)

 

Poi era finita.

C’era rimasto da fare solo l’esame. Di Maturità.

 

La cena coi professori, un trionfo.

Cossu, con una coroncina fatta con le foglie dell’alloro della siepe, erano nel giardino del ristorante, gran bel ristorante, a metà cena, Cossu che in piedi su una sedia, ogni tanto tossendo, giù a declamare col suo vistoso accento sardo, uno per uno gli inviti che lei aveva ideato, programmato, poi composto, poi corretto, riscritto, ricorretto, poi compilato. In gotico. Su finte pergamene bruciacchiate fatte con la carta da lucido pesante, quella buona.

Parodiando Dante.

 

E Cossu, in piedi sulla sedia, tossendo un po’ e schiarendosi la voce, mentre tutti un po’ alticci, tutti accaldati, tutti eleganti, lei col vestitino di crepe  Georgette blu, tutti a ridere, ad applaudire e Cossu a declamare

 

O Tosco che per la città del gioco

lieto ten vai corrigendo un poco

piacciati di venire in questo loco

dove con noi mangiar e bere potrai non poco

e festeggiar dei giorni il nostro chiuso giogo.

 

Quiriconi che chiedeva a gran voce di riavere il suo invito, perdendosi tutte le C, sbracciandosi sul tavolo e ridendo da matti.

 

 Ecco l’invito della Cortellessa. Si vociferava, per tutto l’anno e anche l’anno scorso che le piacesse il Mainardi. Quando s’incontravano pei corridoi lei arrossiva di brutto. e guardava basso.

E Cossù in piedi, tossendo un po’, un po’ schiarendosi la voce tonante, a declamare

 

 

E tu che per dicoro, nei giorni andati arrossavi al suo cospetto

adesso viene ove anche lui saria

E se amor che a nullo amato amar perdona è detto

ti saria di certo mangiar con noi e con colui in questo loco

dolce e lieto e ardente come per tutti è nell’inverno il foco

 

e giù applausi e sganasciamenti generali e rossori e frizzi e lazzi.

 

E per lei eccolo il momento di gloria.

Non quello degli occhi del Mainardi ficcati fissi nella sua generosa scollatura, no. Un altro. Migliore.

Quella voce rombante, quella voce terrifica che non sapevi se fosse d’uno che t’avrebbe mangiato subito o avrebbe aspettato la ricreazione, quella voce, a pensarci, un po’ più roca, un po’ più bassa, dall’inizio dell’anno.

Che lui li avrebbe tutti portati all’esame. Alla Maturità.

E ora quella voce che rombava sempre meno, quella voce che aveva bisogno sempre di bere un po’ d’acqua, di schiarirsi come un’idea appannata,  quella voce che diceva

Questo è opera tua, vero Lucietta?

Come se lo sarebbe ricordato, lei, quel Lucietta, mai l’aveva chiamata per nome. Solo cognome.

Come se lo sarebbe ricordato quello sguardo.

 

Dopo.

Quando, dopo le vacanze avrebbe saputo da Patrizia che Cossu  se n’era andato. Cancro alla gola.

Dopo le vacanze che le avrebbero fatto girare la vita. Una boa del destino.

 

Che inutile opporsi, cercare di sviare. No, non ci voglio andare sull’Adriatico al mare. Voglio tornare al Circeo!

Inutile.

Samarcanda o non Samarcanda, il destino t’aspetta. È paziente, lui.

…

…

…

(by poetella)

 

 

 

 

 

 

 

.

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Ogni tanto ci pensava…

14 sabato Apr 2012

Posted by poetella in biografia..., crescere con l'amore, emozione, fiabe, foto di poetella, le cose importanti, quasi racconti

≈ 8 commenti

Tag

ragazzina, suora

 

(foto di poetella)

 

Ogni tanto ci pensava.

Le tornava in mente. Tante volte, veramente. Parecchie, sì. Parecchie volte aveva ripensato a quella suorina. Piccola piccola, giovane. Magra come una ragazzina. Bianchissima.

In cinquant’anni, quasi, ti torna in mente una suora così importante, no?

Pure se è una suora.

Quella suora che s’era messa quasi a piangere, a supplicare, quando le aveva detto Ho scelto, sa? Vado all’Artistico. E lei a dire no! No, ti prego, no! Non buttarti via! Disegna quanto vuoi, ma no! Il Classico. Ti prego. Dammi ascolto, testona.  Cambia idea. Ti prego.

 

A supplicarla e lei niente.

A cercare di convincerla che questo e quest’altro e quest’altro ancora e lei niente.

 

Come diceva Pavese?

La vera saggezza è saper seguire i buoni consigli. Anche se vengono dai tuoi genitori.

O dalle suore, aggiungeva lei, adesso.

Ma lei non era stata saggia. Non allora, per lo meno.

Ci ripensava e pensava pure che sarebbe dovuta andare a trovarla, quella suora.

Ogni tanto.

Ma chissà se…chissà dove. Se ancora lì, in quella scuola. Chissà se viva o.

E non c’era andata mai.

Paura che le dicessero…

O che lontana, mandata altrove. Come tante suore, per non farle affezionare troppo. No?

 

Ma quella mattina, con sua sorella a Roma, quella mattina avevano deciso. Ci andiamo. e sia quel che sia.

Arrivate nell’Istituto, la sarabanda dei ricordi. Il giardino. Le finestre alte alte. Le querce. I sassetti che, quante volte nelle ginocchia. E le lacrime. Le risate.

Tutto quasi uguale. Solo qualche ammodernamento fisiologico.

Un uomo in portineria! Un uomo!

Un ragazzo che, alla domanda Ma Suor Florentina è viva, ancora? aveva risposto Certo che è viva! E insegna ancora. Qui. E tra venti minuti riceve.

 

E il reale si scolorisce. Si  accende tutto un mondo lontano. Voci. Giochi. Fatiche. Trionfi. Delusioni. Emozioni.

Lei si sentiva tremare all’idea di rivedere la sua insegnante di Lettere. L’artefice, sicuro, l’artefice della sua passione per lo scrivere.

La curatrice. Quella che coi minuscoli, beh, certe volte un po’ più decisi tocchettini l’aveva guidata. Incoraggiata. Stimolata. Fatta crescere dentro.

E ora.

La voce, in corridoio. S’informava se ci fossero visite. Sì, due signore, aveva detto il ragazzo.

E lei Chi? Mamme di alunni? E lui, misterioso, No, una sorpresa.

La voce! La stessa voce. Quella bella voce che declamava versi quasi cinquant’anni prima.

La bella voce che spiegava, accendeva, guidava. La stessa. Quella che diceva Ma Lucia! Con tant’occhi, che come facevi a non sorridere.

E i passi. Di uccellino.

Eccola, nella stanza del ricevimento. Una sagometta nera oscillante. La memoria materializzata. Senza sottrarre. Senza aggiungere. Appena qualche minuscolo segno attorno agli occhi. Il tempo è misericordioso con le suore, pare.

Le guarda.

Incuriosita. A lungo. In silenzio. Loro sorridono.

Poi, lei, Le gemelle! le mani sul viso. Un sorriso festoso, stupito. La testa a fare NO!

E guardando lei, ma davvero non era cambiata tanto in tutti questi anni? E guardando lei, Tu eri quella brava, eh?

E lei

Ma si dice? Non si dice, via…

E poi…

Mille e mille parole. E ritrovarsi. Bello.

 

Deciso. Le avrebbe portato i suoi due libri pubblicati. Ecco.

…

…

…

(by poetella)

 

 

J.S.Bach-Prelude-Prelude and Fugue in C

 

 

 

 

.

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poetellina…suona…

13 venerdì Apr 2012

Posted by poetella in biografia..., fiabe, foto di poetella

≈ 9 commenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

carina, no?

 

……………………

……………………………….

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da una biografia via mail…

03 martedì Apr 2012

Posted by poetella in attesa, biografia..., fiabe, le cose importanti, quasi racconti

≈ 30 commenti

 

 (poetella a 18 anni)

 

Eh sì…la bambina era proprio brava.

Però era un po’ triste.

Ché il papà non glielo diceva mai che era brava. E neanche la mamma.

Ché lei doveva essere brava.

Non c’era da dirlo. C’era da dire se prendeva nove, invece di dieci. E perché nove?

Ti sei distratta? Non hai studiato? Come mai ‘sto brutto nove?

 

E sua sorella, la gemella che somigliava tanto a papà, il maschiaccio, (mica vero che somigliava a papà più di lei! Come ci soffriva, anche per questo…) sua sorella era meno brava.

Ma non faceva niente. Tanto c’era lei che la faceva copiare. Che la faceva studiare. C’era lei che la proteggeva, l’incoraggiava. Poteva permettersi di essere meno brava. L’altra. La gemella. Che somigliava tanto a papà…

 

E quando s’erano tolte le tonsille, che allora le tonsille erano uno spauracchio! Te le toglievano da sveglia. Imprigionate in braccio a un omone, un lenzuolone bianco davanti e un secchio,

e strap! Via!

Quando s’erano levate le tonsille lei era andata per prima. E non aveva strillato. Zitta zitta per non spaventare la sorella. La sentiva così piccola. E lei era forte. E brava.

E ditemelo che sono brava! Una volta!

Ma …niente.

 

E andiamo avanti

 

(da una biografia via mail… e la  biografia continua, amico mio…)

 

 

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La bambina sta seduta composta…

22 giovedì Mar 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, attesa, crescere con l'amore, emozione, fiabe, nonni, quasi racconti

≈ 10 commenti

Tag

fiabe

 

 

 

 

 

 

 

(foto di poetella)

La bambina sta seduta composta.

Aspetta, guarda e ascolta.

I grandi attorno alla tovaglia di lino spesso. La bambina accarezza il tovagliolo liscio. Guarda e ascolta.

Aspetta, guarda e ascolta.

I grandi coi bicchieri di vino rosso. Il suo è rosa chiaro chiaro. Però è buono. Pizzica sulla lingua, la solletica, poi va giù veloce veloce.

Mica come il pane nel latte che s’impiglia in gola, la mattina.

 

La bambina sta aspettando che nonno Chi viene con me? alzandosi, il tovagliolo arruffato accanto al piatto, il gatto che salta giù dalle gambe, con l’aria seccata e scompare chi sa dove nel buio del corridoio, nel cavo di qualche stanza lontana, una dentro l’altra, una dopo l’altra profumate di lavanda e di cera, come un sogno del mattino, la greca del pavimento che diventa tonda, poi quadrata, poi ancora tonda, poi quadrata e ancora quadrata poi scompare in tanti pezzettini di luce marroni e viola e bianchi e rossi e blu. Coriandoli.

E lei non può più andarci in equilibrio come sulla greca, un piedino dopo l’altro, uno dopo l’altro, col libro di fiabe in testa

a fare la signorina

mentre l’Angelo di Tobiolo coi capelli d’oro le indica una via, dalla cornice nera. E la pendola rintocca lenta i suoi giorni lieti di bimba.

 

La  bambina sta seduta composta,

 ché ha finito di mangiare tutto tutto  e neanche una macchia sulla tovaglia, sul vestitino celeste di organza della domenica, attenta attenta, neanche una macchia sul tovagliolo.

Neanche una macchia sui suoi sogni perfetti di attese e favole vere nella casa dei nonni.

 

La bambina sta seduta composta

poi Chi viene con me? dice nonno. E come guizzano le righette attorno agli occhi chiari. Come brillano d’argento i capelli.

Chi viene con me? ed è già in piedi, alto alto, magro magro. Un mago delle fiabe.

E lei Io! E sorride.

E comincia la festa.

…

…

…

(by poetella)

 

ascolta poetella

 

 

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Lo vedi…

20 martedì Mar 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, attesa, Bellezza che salva, camminare guardando, consapevolezza, crescere con l'amore, desideri..., emozione, fiabe, foto di poetella, indipendenza, libertà, poesia, speranza

≈ 14 commenti

Tag

gioia, memorie, nube

 

 (foto di poetella)

 

Lo vedi. In ogni nube

stanno mille e mille sguardi

e fanno pieghe fanno rabbuffi e riccioli

avvallamenti

e tracciati

 

lo vedi come c’insegnano

probabilità

sgombro di memorie. Traslochi.

Da non crederci. Solo vapore anche noi

in fondo

Proiezioni di sogni.

 

Così bianche, a volte

così sole. Girovaghe

 

Saltimbanche del cielo

 

E come m’invischio in questo loro

andare

Come lo sguardo mi si fa preghiera

Mi si fa voce. Mano che indica

e chiama.

 

Vado imparando che

non c’è paura, in loro. Non c’è perdita

come nel canto che lascia la gola.

 

Le vedo volare di gioia

verso lo scroscio.

 

Vedo come le aiuta il vento.

…

…

…

(by poetella)

 Ascolta poetella

 

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chi lo sa se…

13 martedì Mar 2012

Posted by poetella in crescere con l'amore, emozione, fiabe, mamma, quasi racconti

≈ 21 commenti

Tag

fa freddo, occhi verdi, strada nel bosco

 

 

 

 

 

 

 

 

(foto di poetella)

Le bambine dormono. Ancora.

Due fagotti tiepidi.

Più di un metro di vuoto oltre i piedi, nei lettini.

E già un chiarore. C’è un chiarore sottile che scivola dentro come una fata, tra le fessure delle persiane.

Dev’essere giorno, fuori. Da un po’.

La prima, la grande, si sveglia.

Un quarto d’ora di più, ma è la grande.

Anche pochi minuti contano in certe questioni.

 

Sarà venuta o no?

 

La prima domanda, sotto le coltri pesanti. La trapunta blu. L’altra è rossa. Tutto uguale, solo i colori diversi, per le bambine.

Ché sono gemelle, ma una moretta, vispa come un leprotto, l’altra chiara chiara, fitta di sogni, tutta lentiggini e due occhi verdi verdi,. Da rossa. Come la mamma. Anche se non è rossa.

E vorrebbe somigliare a papà.

Gli stessi colori non va bene, per le bambine diverse.  

 

Sarà venuta o no?

 

Ecco che anche l’altra.

E tirano fuori le capoccette come due funghetti nel bosco.

Si guardano. Si fanno coraggio.

Andiamo a vedere di là?

La grande, un quarto d’ora di più. Lei deve fare da apripista. Sempre.

Lei il coraggio. Lei l’iniziativa. Le che spinge e guida.

È grande.

Mica ci si deve far vedere coi dubbi. C’è la piccola

 

Sarà venuta o no?

 

S’alzano. Vanno. Le vestagliette, una rossa una blu, vanno come in processione. Due folletti minuscoli nellla sconfinatezza del corridoio. Eterno. Una strada nel bosco, di notte. Fa freddo. Forse è la paura.

Ecco la cucina, in fondo. Ecco la luce dell’albero che plic, ploc, plic, ploc, dalla porta a vetri chiama. Come una goccia di elisir magico.

 

La manina della grande sulla maniglia. Occhi alla sorella. Apre.

E negli occhi della piccola lo stupore.  

E guarda anche lei.

Nel centro del pavimento della cucina il tappeto della sala, quello bello coi disegni strani. Tutto coperto di minuscoli vestiti di bambola.

Un intero guardaroba. E calze. E scarpine di pelle, e gonnelline arricciate e camicette e cappellini. Tutto doppio. E cappottini di velluto col collettino di pelliccia e il bottone dorato. Tutto doppio. Anche due borsettine di panno rosso.Tutto attorno ad un armadio da bambole coi cassettini, gli scompartini, le stampelline e sedute accanto le loro  due vecchie bambole, non c’erano bambole nuove. In mutandine e canottiera, le vecchie bambole, tutte pettinate. Pronte per essere vestite.

 

È venuta! La Befana è venuta!

 

Ché mica può averli fatti mamma quei vestitini! Sono troppi.

Mamma va a scuola, la mattina, poi a casa fa tutto lei. E poi papà. E le bambine…le cura. Racconta favole. Aiuta nei compiti…

Mica può averli fatti lei quei vestitini!

E quando?

Di notte?

 

La Befana esiste. Sicuro.

…

…

…

(by poetella)

 

 

Handel’s Minuet.

 

 

 

 

 

.

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Non te ne andare…

05 lunedì Mar 2012

Posted by poetella in desideri..., emozione, fiabe, le cose importanti, poesia, speranza, voglia di sscrivere

≈ 8 commenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(foto di poetella)

 

Non te ne andare

parola

resta, resta con me parolina bella

a ricamarmi la veste

di piccoli punti

e forellini di luce.

Parola che colora

Che segna

Che impregna

 

Resta, resta con me

fammi

giocare coi tuoi riccioli folti

fatti pettinare buona buona

e sorridi

paroletta gentile

 

Sono tutta un’attesa di te

Tutta protesa

Tutta scoscesa di punti di suoni

Scalinatella verso il mio cuore

 

Stammi nelle mani

parola, negli occhi

Stammi sulla testa

 

benedizione commossa di madre

…

…

…

(by poetella)

 

 

[oggi non ho tempo di registrare… 😦  ]

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il ritratto…

21 martedì Feb 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, crescere con l'amore, emozione, fiabe, quasi racconti

≈ 2 commenti

 

Quando dipingeva doveva continuamente guardare il modello. Non aveva memoria visiva. Forse la miopia.

Una moltitudine di impercettibili variazioni tonali. Solo questo.

Non era altro che questo tutto l’intorno. Anche la vita. Le vite, le esistenze di tutti. Moltitudine di impercettibili variazioni tonali. Che potevano essere osservate, analizzate, scomposte e rimiscelate sulla tavolozza. Poi trasferite sulla tela. O in testa. Almeno all’apparenza, semplice.

 

Faticosa solo la continua alternanza di messa a fuoco. Il mio punto di vista e il reale. La mia percezione del reale. E il sottile confine da infrangere.

Da valicare.

Per potersene impossessare, per capire. Assimilare.

 

Lei sempre così lieve. Così desiderosa di vivere sfiorando. Scuola dura questa della pittura. Modello, tela. Modello, tela. Attenzione. Memoria.

S’era seduta. Accesa una sigaretta, lo sguardo un poco fuori della finestra a cercare riposo, in ascolto del vento. Forte. E pioggia imminente, forse.

Sulle piastrelle di cotto del balcone le briciole per i passeri erano volate via. Poi le avrebbe rimesse. Ora no, troppo vento.

Però le piaceva il vento. Questa capacità di rimischiare, di rivoltare e smuovere. Creare nuovi equilibri. Nuovi accostamenti, magari impensabili. E il suono. Una voce che non domanda.

Sigaretta nella sinistra, ora guardava la tela. Doveva scurire una ciocca di capelli. E gli occhi. Doveva lavorarci. No adesso, fuma. Stacca, s’era detto.

 

La foto, accanto alla tela, le dava un senso di tranquillità. Posso farlo quando voglio. Adesso fumo.  Sta fermo lì. Modello docile. Mi da tutto il tempo.

Poterci rimettere le mani in qualsiasi momento. Non dover essere costretta ad agire. A correre. Tecnica gentile, l’olio.  Poteva prendersi pause. Concedersi ripensamenti.

Questo le dava, dipingere. Un senso di controllo del tempo. Era padrona del tempo. Probabilmente perché lavorava dalle foto. Più comodo. Meglio se foto di sconosciuti. Si divertiva a svelare interiorità. Di solito ci riusciva. Almeno quello dicevano gli altri.

Aveva ricevuto una piccola ode da una cliente una volta, una pergamena arrotolata, col fiocchetto rosso.  “Lei mi ha dipinto l’anima”. E una poesia. Bello. Tenero. Scambio di creatività.

 

Guardava la foto, adesso. S’era voltata un attimo, verso il piccolo stereo e aveva riavviato il tasto del play. Poi aveva selezionato Ripeti. Brahms.

Un attimo a occhi chiusi. Poi il ritratto. Bell’uomo. Chissà come mai aveva voluto il ritratto. Strano. Donne, bambini. Nonni o antenati vari. Uomini raramente.

I bambini le piacevano. Venivano sempre bei ritratti. Di solito erano le nonne a chiederli. Le nonne senza più guizzi, senza attese, che s’erano risvegliate coi nipoti alla vita che scivolava via. S’erano innamorate di nuovo.

 

Fuori ancora vento, impetuoso. Potente. La seggiolina di plastica bianca in balcone s’era un po’ spostata. Per fortuna aveva tolto il vaso con le impathiens, dal tavolo. Meglio, con quel vento.

Aveva come una sensazione di presenza. Il vento. Strano.

Come un allarme. Adesso gli occhi. Lavorare sugli occhi. Grandi e fondi. Doveva riuscire a dare quella profondità. Mentre dipingeva si sentiva osservata. Dal quadro. Lo sentiva vivo. Davvero una strana sensazione.

Mai provata prima.

Come se fosse uno specchio, ma con u’altra immagine. Non lei. Qualcuno che la guardava, la scrutava.

La mano a massaggiarsi la nuca dolente. Cervicale esasperata dalla posizione.

Di nuovo al lavoro. Quegli occhi. Ancora un piccolo tocco di terra d’ombra. Forse ci voleva un po’ di Prussia. Per affondare. Sì.

Bello. Vivo.

Aveva abbassato lo sguardo. Si sentiva davvero a disagio.

Uno strano, stranissimo ritratto.

S’era seduta di nuovo, con una sensazione di malessere, di dolore. Poi, capito. Le dispiaceva doverlo dare via. Si affezionava sempre ai suoi quadri, ma questo era strano. Questo quadro. E lui continuava a guardarla come se fosse lì, vivo. Presente. Che vuoi? Gli aveva detto. Poi aveva sorriso. Andiamo bene, ci parlo pure.

S’era allontanata, occhi socchiusi e, sì. Finito. Ci siamo. È lui.

Era più lui della foto, veramente. Era come materializzato. Le sembrava che muovesse anche impercettibilmente gli occhi.

Altra sigaretta. Sono matta, aveva pensato. Mi sono stancata troppo. Aveva guardato l’orologio. Sette ore che stava lì, a dipingere. Senza neanche mangiare. Doveva essere questo. Cavolo!

 

Ancora vento fuori. Sembrava una voce. Un richiamo. Quasi disperato. Ma che scemenza, pensava.

S’era messa a pulire i pennelli e ogni tanto guardava la tela. La tela guardava lei. Si stavano conoscendo. Davvero sentiva di aver dipinto quell’uomo dal vero. Come se fosse lì.

Il trillo del telefono l’aveva fatta trasalire.

–         Sì? Pronto?

–         Sono Vinelli. Sì. Tutto bene?

–         Ho quasi finito, signor Vinelli. Può avvisare il tipo che il ritratto è pronto.

–         Sarà difficile.

–         Difficile?

S’era preoccupata. Perché difficile. Questo era il miglior ritratto che avesse fatto. Perché non poteva avvisare il committente che era finito?

–         Allora? Perché difficile? Non può avvisare?

–         Certo, ma non il signore del ritratto. Sua madre.

–         Un regalo?

Carino, aveva pensato. Una mamma che fa fare il ritratto al figlio e glielo regala. Carino.

–         il regalo è per la madre. Lui è morto l’anno scorso. Per questo ha voluto il ritratto. E sperava di averlo per l’anniversario della morte. Era un ragazzo straordinario. L’amavano tutti.

–         È finito. L’avrà. Anche domani se vuole.

 

Fuori il vento adesso soffiava lento. Costante. Sembrava un canto. Un canto di ringraziamento.

…

…

…

(by poetella)

 

nella foto “Autoritratto”

di Ciro Resta de Spinoza. primo ‘800.

 

Johannes Brahms-Trio for Piano, Clarinet and Cello – Op114(1891)II – Adagio

 

 

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Summertime…

17 venerdì Feb 2012

Posted by poetella in crescere con l'amore, emozione, fiabe, le cose importanti, padri e figli, quasi racconti

≈ 14 commenti

Tag

arietta, canne da pesca, pescatori

 

 

 

 

 

 

  

 

Ci s’era alzati tutti presto. Che si vedeva la luna, dalla finestra, tremolare sull’acqua e dietro gli occhi un dolore, una voglia di sonno.

 

Le bambine si vestivano lente, molli come pupazze. Costumino. Maglietta. Asciugamani nei sacchi. Uno rosso, uno celeste.

E prendete pure i cappelli, aveva detto mamma, mentre spalmava la Nivea sulla schiena, sulle spalle, sulle braccia, sul naso, sulla fronte, sulle cosce.

E pure sulle cosce no!

Zitta che poi ti scotti. E piangi. E spalmava. E a Tata niente. Che quella teneva una pelle scura scura che sembrava una negretta. E dopo sette giorni di mare, figurati. Non si scottava neanche a dormirci, al sole. Neanche dieci ore, al sole, si scottava.

Ma lei, la Lenticchiosa! Che tormento. E li conosceva i morsi sulla pelle, la notte, a girarsi e rigirarsi senza pace, a cercare il fresco del lenzuolo, senza sonno, coi diavoli che la mordevano voraci come piragna.

 

Pure mamma s’era alzata presto, anche se lei no, a pescare no.  Che avrebbe preparato il pranzo, dicendo il rosario pei suoi pescatori, poi sarebbe andata alla funzione e poi giù in spiaggia. Ad aspettare.

Ecco. Tutto pronto.

Fuori, nel buio, verso la spiaggia.

Papà portava la cassetta col verme e una busta con le lenze di profondità, tutto il filo ben arrotolato sul sughero. E gli ami di scorta.

Le bambine, ognuna col sacco con gli asciugamani e i panini morbidi e, fiere, in mano le canne da pesca. Nuove nuove. Col mulinello per avvolgere. Una col manico rosso. Una blu.

 

La barchetta rivoltata, a riva, l’avevano girata tutt’e tre. Fatto.

 Loro due sopra e papà a spingerla in acqua.

Uno scintillio di luna. Un’arietta fresca sulle braccia nude, sulle gambe.

Un canto d’aria.

Poi, remi in acqua, via! Al largo.

Lei guardava l’acqua e aveva paura. Sempre paura di cadere. Si sarebbe ficcata sotto la prua, per essere sicura di non cadere in acqua. Ma mica lo faceva vedere. A papà. No, no.

Datemi le canne che il verme lo metto io. Che se no vi fate male prima di cominciare, aveva detto papà. Meno male, che le faceva un po’ schifo.

Quei cosini molli che si agitavano. E poi, poveretti. Chissà che male con quegli ami. Poveri vermetti.

I pesci piccoli si ributtano in acqua, ok? diceva papà.

Ok.

Pluf, e s’aspetta.

Che speriamo che non abboccano. No. Speriamo che abboccano.

Devo fare vedere che sono una brava pescatrice, pensava lei. Papà è bravo. Anche io.

La barchetta dondolava, all’ancora e attorno era ancora notte d’agosto sul mare. Zitti zitti, che se no i pesci scappano. Che lei voleva parlare, per farli scappare. Voleva avvisarli. Poveri pesciolini.

Poi Papà! Aveva gridato Tata. Tira! Tira! Guardando la lenza tutta curva e tesa e il filo che affondava e risaliva un po’, agitato da qualche dispetto del mare.

Arrotola! Arrotola, aveva detto papà. Presto, arrotola e tira su!

Lei stava immobile a fissare quel filo. Come s’aspettasse la tragedia imminente. Col sudore gelato addosso. La barchetta un po’ dondolava.

La sua canna stava immobile. Nessun tiraggio.

Tata avvolgeva il mulinello velocissima. Un’esperta pescatrice.

Poi, ecco. Due pesciolini attaccati che tremavano, traballavano, si torcevano disperati.

Erano piccoli. Meno male.

Li ributtiamo, papà.

Sì.

Salvi!

E intanto ecco la sua canna che si flette. Uno strattoncino piccolo piccolo.

Poi un altro.

Come un compagnetto che ti tira i capelli. Per dispetto.

Arrotola! Dai! Aveva detto papà. Svelta! Arrotola!

Ed era venuto su un pesciotto bello grasso, rosato. Brillante e luminoso di riflessi di luna.

Lei aveva guardato papà, un po’ fiera, un po’ supplice.

Beh? Aveva detto papà. Mettilo nella cesta, dai. No, ce lo metto io.

Ma lei lo guardava con un’espressione di malinconia. Di struggimento.

Di richiesta di perdono…

E papà, staccando il pesce e buttandolo in acqua Ok, aveva detto, l’anno prossimo si va in montagna. A funghi. E vediamo se…

 

E lei aveva pensato Bello, sì. A funghi.

Chissà, però, se i funghi, quando li cogli…chissà se…

…

…

…

(by poetella)

 

CharlieParker&ChetBaker-Summertime

 

 

 

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ancora ricordi…

16 giovedì Feb 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, attesa, crescere con l'amore, emozione, fiabe, le cose importanti, mamma, quasi racconti, speranza

≈ 2 commenti

Foto di poetella

(foto di poetella)

 

Bambine! si va in centro! aveva detto mamma, bella bella, col vestito rosa di piquet, stretto in vita, sottile la vita di mamma, le braccia nude piene di lentiggini.

La gonna svolazzava larga e gonfia ad ogni passo, sbruffo di  petali di peonie, mentre prendeva i due vestitini uguali verde acqua per le gemelle. Disegnati, tagliati e cuciti e provati in pochi giorni. A scuola finita. Anche per lei.

Giugno si slargava pieno di vacanze. E di sole. E di attese.

 

In centro. Bello. Le compagnette delle gemelle dicevano Ieri so’ andata a Roma e loro Ma non stiamo a Roma?

Ma la mamma no. Lei diceva in centro. La mamma sapeva bene tutte le parole. Sapeva tutto e sapeva insegnarlo. La mamma era bella bella.

 

E ora in centro a passeggiare coi vestitini nuovi e mamma tutta luce e magari pure il gelato e stare ben attente a non sbrodolarsi. Attente attente.

Tanto Tata si sbrodolava sicuro. Lei no. Lei era una brava bambina. Se lo voleva far dire spesso, per crederci. Una brava bambina composta, che non si sbrodola. Tata non era brava. Le faceva i dispetti. E diceva sempre Brutta lenticchiosa, se vedeva che la sua bambola era più stropicciata e ciondolosa e sporca e allora Brutta lenticchiosa a lei, per vendicarsi.

E lei piangeva  piano e non si faceva vedere da mamma, che se no mamma prendeva la cucchiarella di legno e giù a spezzargliela sulle gambe a Tata.

E poi Quando viene papà il resto, diceva. Che pizzicava di più quella frase che le strisciate di cucchiarella stampate sulle gambe.

 

E allora lei non diceva niente a mamma di Brutta lenticchiosa. Se ne stava a pensare che le lentiggini, come mamma, solo lei. Pure se i capelli erano neri. Ma le lentiggini, come mamma, solo lei. E poi piangeva piano piano, in cameretta, senza farsi vedere, sommessa come un sobbollire di minestrone. Di lenticchie. E aspettava. Aspettava che Tata. Ma quella mai. Mai a dire scusa.

No. Non era una brava bambina. Per niente era una brava bambina. Tanto si sbrodolava sicuro col gelato, se mamma lo comprava. Sicuro.

 

Vi devo raccontare una bella cosa, aveva detto mamma sul tram che traballava sferragliando tra le casone alte alte, verso la Bellezza. Tata coi piedi di qua e di là della ruota dello snodo, che si faceva trascinare e sballottare ad ogni curva e rideva e rideva e mamma a dire Sssshhhhhhhhh! Buona. Buona un po’. Vieni qui. Buona. Zitta.

Figurati! Buona Tata! Quando mai! E lei si teneva salda, eroica, vedi come sto buona pensava. E che fatica su per i polsi. Ma lei contrastava. Contrastava la vita che voleva farla cadere. Forte contrastava i sobbalzi. E le paure.

 

Arrivate. Spalancata la piazza della stazione Termini. Immensa di luce di giugno, di gente, di macchine e autobus. D’estate e di vacanza.

Camminavano tutt’e tre, le gemelle con le scarpette bianche ben pulite col bianchetto e mamma cantava   

Que Sera, Sera,
Whatever will be, will be
The future’s not ours, to see
Que Sera, Sera
What will be, will be

Bella mamma, coi capelli rossi come un incendio sulla schiena.

Sediamoci lì, aveva detto.

Una panchina sotto i platani. A terra un chiacchiericcio di piccioni. E loro, buone, scarpette, borsetta, guantini bianchi, il gelo del marmo sotto le coscette nude. I piedi penzoloni.

Vi voglio dire bene bene una cosa, aveva detto mamma, con un’aria magica. Misteriosa.

Siete grandi, ormai. Vi voglio dire come nascono i bambini. Va bene? Volete?

 

E loro Sì. Insieme. D’accordo, adesso.

Tutt’e due Sì, con la testa. In attesa.

…

…

…

(by poetella)

 

Que serà serà – Connie Francis

 

 

 

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sssssssssssh…..

10 venerdì Feb 2012

Posted by poetella in amore?, assenza prersenza, atmosfere magice, attesa, desideri..., emozione, fiabe, inverno, neve a Roma, poesia, speranza

≈ 16 commenti

Foto di poetella

(foto di poetella)

 

Zitti zitti

come topolini ad aspettar

 

la neve

 

Io, te

…

…

…

(by poetella)

 

 

Si tu vois ma merè – Sidney Bechet

 

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E poi torniamocene a casa…

08 mercoledì Feb 2012

Posted by poetella in amore clandestino, assenza prersenza, atmosfere magice, crescere con l'amore, emozione, fiabe, libertà, nostalgia, poesia

≈ 4 commenti

Foto di poetella

(foto di poetella)

 

E poi torniamocene a casa

che fa freddo

senza lasciare scarpette

di vetro

come se fosse niente

 

Niente tutta la luce, teniamocela

in petto

la luce, dietro gli occhi

la festa, bassi,

ché non si veda

Microesplosioni, pollini luminosi

 

Ché non posso, non posso proprio

e invece posso

legarmelo in cuore

questo Valhalla di ferite rimarginate

di banchetti e di canti

[Tutte le Valchirie scese da cavallo

e ballano un valzer

al suono di pianola]

Gira gira la manovella

Gira gira questo tempo

Gira e si chiude il cerchio. Attorno a te

 

 

Torniamocene a casa

zitta zitta

come dal mercato, le mani

le braccia colme di un tutto

che sembra un niente

 

Di un toccare le nuvole

e pasticciarcisi tutta

…

…

…

(by poetella)

 

 

 

Ascolta poetella

 

 

 

 

.

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e loro si divertono!

04 sabato Feb 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, emozione, fiabe, foto di poetella, inverno, neve a Roma

≈ 5 commenti

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la fiaba di Betto e della luna…

01 mercoledì Feb 2012

Posted by poetella in atmosfere magice, emozione, fiabe, figli, quasi racconti

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luna1(foto di poetella)

 

«Mammina! Non lo sai pecché?»
Claudietto stava a nasino in su e guardava, nel cielo d’estate, su in montagna, pieno di piccoli punti d’argento, uno spicchio di luna.
Ogni tanto posava gli occhioni in quelli della mamma e poi di nuovo a naso in su.
«Cosa, pulcino? Che vuoi sapere da mamma?»E se lo teneva in braccio, godendosi la sera di vacanza… che bello! E gli accarezzava i capelli corti e morbidi, come pelliccia di marmotta…
«La luna, mamma! Perché una volta è spicchietto di limone e una volta una frittata? Perchè mamma?»
Era bella la sera… fresca, serena…non c’era niente da fare ormai.
Tutto in ordine, tutto sistemato… era l’ora delle coccole… delle fiabe!!! L’ora dei «pecché»…

Allora, con l’aria magica, misteriosa che sempre le illuminava gli occhi a quell’ora, la mamma cominciò…
«C’era una volta e…lo sai? C’è ancora!
C’era una volta un coniglietto,,,»
«Come si chiamava, mamma?»
«Si chiamava Betto! Betto, il coniglietto!» il piccolo aspettava guardando la mamma…ora la vedeva più bella della luna…”E poi? Poi, mamma? »
«Betto il coniglietto guardava sempre la luna! Doveva essere anche buona da mangiare, bella com’era!!! Grande grande, liscia liscia, tonda tonda come una frittata.»
«Sì, sì! Buona la luna!!!Poi?»

«Allora Betto decise! Prese una scaletta lunga, lunga, lunga…e.. ticchete tacchete, ticchete, tacchete arrivò fino alla luna!»
«Ih! Mammina! » gli occhioni azzurri del piccolo erano enormi di gioia e dentro c’erano tutte le fiabe del mondo che danzavano felici…

«Poi, ghiotto com’era… gnimmete gnammete, gnimmete gnammete! Cominciò a mangiare!»
Stava a bocca aperta Claudietto e guardava la mamma e la luna, la luna e la mamma…sospeso al sogno.
«Mangia che ti rimangia, mangia che ti rimangia, la luna…finì!»
Il piccolo ebbe un lieve trasalimento…e guardava la luna fisso fisso, a cercare il coniglietto, a fermarlo con un ordine, che non si finisse la luna! Era bella!
«Tranquillo amore mio! Vedrai, quando il padrone del cielo vedrà che la luna è finita ne prenderà un’altra, tonda tonda, liscia liscia, grande grande come una frittata e plic! la rimetterà su!»

La voce dolce della mamma l’aveva placato.
Bella questa età! Scappano via tutte le paure al suono di una voce di mamma!
Tutte…e si può chiedere, e si hanno risposte..
«E se gli viene di nuovo fame?»
« Se gli verrà ancora fame…e gli verrà… prenderà la scaletta e ticchete tacchete, ticchete tacchete… andrà su! E gnimmete gnammete, gnimmete gnammete, se la mangerà!»
E il bimbo che aveva imparato il gioco…
«E mangia che ti rimangia, mangia che ti rimangia… la luna finirà!!!»
«e quando il padrone del cielo si accorgerà che la luna è finita…» cantilenava la mamma
« prenderà un’altra luna, tonda tonda, liscia liscia, grande grande come una frittata… »
«…e plic! La riappenderà! »
Raccontavano a due voci… la sera era bella e forse fuori dal regno della lampada ballavano le lucciole.

…

…

…

(by poetella)

 

Ascolta

 

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